Artico nero

La lunga notte dei popoli dei ghiacci

Sette storie da un Artico nero e morente, ambientate in Canada, nella Norvegia settentrionale, in Siberia, in Groenlandia: luoghi dove la distruzione di una cultura sta anticipando gli scenari peggiori.

«I popoli circumpolari non hanno solo in comune un habitat, dei tratti di cultura materiale e una complicata storia di intrecci genetici. Quello che hanno condiviso fino a mezzo secolo fa era una visione animistica dell’esistenza, centrata sugli animali, sulla caccia e sul potere degli sciamani».

Un’analisi politica e sociale incassata nel modello romanzo-saggio. Un modo nuovo di raccontare e fare antropologia: antropofiction.

 

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Il libro in breve

Uelen, penisola della Chukotka, estremo oriente russo al confine con l’Alaska.  Alcuni cacciatori Ciukci tornano a riva dopo aver catturato una balena. Contravvenendo a regole millenarie, anziché distribuire la carne a tutti decidono di metterla in vendita: hanno bisogno di soldi per continuare a indebitarsi con i Russi che vendono loro un distillato micidiale fatto con acqua, lievito e zucchero.

È crollato il potere centrale sovietico, i sottomarini nucleari sono stati abbandonati in rada, luci di crepuscolo, la ruggine. Nelle strade i camion dell’esercito non hanno più benzina. I nativi li smontano, usano l’acciaio delle balestre per fabbricare arpioni. Come in un’apocalisse boreale, i sopravvissuti cacciano gli ultimi trichechi. La notte si ubriacano. Un lento genocidio.

Culture venute dal Paleolitico si dissolvono come i ghiacci per il surriscaldamento globale; come quella dei Saami, o degli Inuit avvelenati dall’uranio americano. O degli Inupiat, inebetiti dentro scatole di lamiera chiamate case, scacciati dalle società petrolifere. O degli Jakuti che diventano i nuovi schiavi del commercio dell’avorio di mammut.

Anteprima

da AVORIO ROSSO

(Yukagir, Siberia)

«Nell’aria si sentiva odore di carbone e di marcio. Le donne appendevano stracci ad asciugare, i cani passavano in branchi e abbaiavano ai camion che percorrevano la via principale sollevando spirali di polvere. La gente aveva smesso di sapere cosa fare, i bambini e i cani dormivano accucciati negli androni di edifici che erano stati scuole o case del popolo.

I laghi erano flocculi blu e le paludi ematomi della terra, lasciata così com’era dai grandi scudi glaciali che l’avevano premuta come pietre sopra una pancia vuota.

Ma adesso la terra era piena di grossi cadaveri che la gente aveva creduto per generazioni e generazioni abitatori mostruosi del permafrost e che ora erano solo roba da vendere per rifarsi una vita dopo che le miniere del nord erano state abbandonate e la pesca sul fiume era finita.

Anianiy e il ragazzo cominciarono a scavare attorno alla zanna ma solo una spanna più sotto le pale suonarono come su un blocco di cemento. Il permafrost era duro e intatto e ci misero quasi due giorni a estrarre la zanna di avorio. La misero nella tenda e la nascosero sotto un sacco che era servito per il riso. Poi tornarono dove la terra che avevano scavato somigliava a una gengiva forata».

 

da DR. FREEZLOVE

(Thule, Groenlandia)

«Si potrebbe scrivere un libro sui rapimenti di bambini selvaggi per esibirli in patria. Kalli, groenlandese, trofeo vittoriano morto di tisi in Inghlilterra. O Minik, anche lui groenlandese, portato da Peary a New York. Franz Boas lo studiò, mentre altri quattro Inuit, tra questi il padre del bambino, morirono di tubercolosi nei sotterranei del Museo di Storia Naturale.

Per 5-6 ore il carburante dell’aereo aveva bruciato. Il ghiaccio si era sciolto, molti rottami erano affondati nell’oceano. Con i rottami anche un cilindro contenente uranio, americio e plutonio.

Lo stadio secondario di un ordigno termonucleare. North Star Bay è un sistema geologico stabile, con correnti leggere. I detriti sono coperti da strati di sedimenti. Ma la bomba è ancora là.

Le dimore seminterrate erano costruite con pietre, zolle di terra, pelli e ossa di balena.

La mascella e la mandibola del cetaceo venivano disarticolate e ricomposte per formare una specie di treppiede osseo. Questo reggeva il soffitto fatto di pelli e zolle. Nelle case più grandi i treppiedi erano tre, per coprire il passaggio di entrata e per formare una doppia volta sopra la sala principale. Dal momento che il legno era un materiale raro, della balena si usava tutto, anche le costole, le vertebre, le scapole e i crani».