Il figliolo della Terrora

Omero Bastreghi nasce il giorno stesso dell’attentato a Togliatti, nel luglio del 1948, quando nelle campagne della provincia di Siena scoppiano le rivolte della classe operaia. Il sogno di una rivoluzione comunista che non avrà mai luogo costituirà per lui un’impronta fondamentale; accompagnerà Omero per tutta la vita alimentando i suoi tic, le sue idee, le sue avversioni, il suo incessante elucubrare, segnando la carriera universitaria e anche il suo rapporto con le donne.

14,72 
Il libro in breve

Tre figure femminili scandiscono la storia: la Terrora, madre operaia, 1947; Giglia, la studentessa, 1978; e dal 1980 in poi Viola, àncora e madre. Tre donne, tre appuntamenti del protagonista con la vita e nello stesso tempo, sullo sfondo, il concatenarsi di tre epoche. La storia di Omero è una staffetta tra generazioni. È la storia di un figlio della provincia del dopoguerra, di un mondo operaio che lascia le sue tracce indelebili nei legami familiari; un mondo che però è destinato a ibridarsi in fretta con la piccola borghesia cittadina e che produce una generazione alle prese con una realtà che accelera sempre più la sua corsa. I salti temporali che ordiscono la narrazione della vita di Omero ci calano in maniera formidabile, a volte con una ironia implacabile ma sempre con grande calore ed empatia, in una dimensione quotidiana e rivelatrice del clima degli anni che abbiamo vissuto, e poi ci traghettano nell’attualità di un presente che non abbiamo difficoltà a riconoscere perché anche nostro.

Anteprima

Lo zero spaccato! La scuola, di mattina, la faceva la maestra Rencinai. Ripassava le tabelline a colpi di bacchettate nelle mani se uno ’un le sapeva. Setteperotto. Era una maestra che si faceva rispettare. Gli alunni venivano sottoposti a tremende umiliazioni corporali, al punto che qualche mamma protestava perché il su’ citto aveva ricominciato affalla alletto. Settepersei. Quelle più difficili le riservava apposta ai più somari. Ottopernove. Settantadue.
Omero imparava e zitto. Si orientava nella tavola pitagorica con un righello. Unperzero, zero. Unperuno, uno. Unperdue, due. Unpertre, tre. Unperquattro, quattro. Unpercinque, cinque.

Se le richieste dei coloni erano troppo alte, i proprietari potevano sempre vendere la terra. Ma se al Pelificio scioperavano, il padrone che ci poteva fà? E perché? ’Un poteva vende anche lui? La Rosina ragionava così e cosà. Unpersette, sette.
I pichinacci a letto, ora! No mamma, no! A letto ho detto. A letto ’un mi fate bercià!

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Io posso dirti questo, se vuoi vedere la stella, guarda dove non è. Dove la vedono tutti, lì è più facile che non ci sia, perciò non fidarti né di quello che dicono gli altri, né dei libri, né dei tuoi occhi: niente. Piuttosto vai alla cieca. Il caos è tale e il buio è così fitto che avrai maggiori speranze di riuscire.