Infamia

Attraverso la storia dei due protagonisti, Ana Maria Machado indaga la sottile linea che separa la verità dalla menzogna — “volevo raccontare una cosa sola, l’infamia, l’essere calunniato, la diffamazione” —, mettendo impietosamente a nudo gli artifici con cui la società contemporanea e il mondo dell’informazione, sempre più spesso, travisano, censurano e mistificano il reale, manipolando le coscienze. Con il risultato che i fatti veri rimangono sepolti dalle tante versioni e interpretazioni, mentre si moltiplicano le menzogne e l’ignoranza. Capace di agire indipendentemente dalla classe sociale e dalla cultura delle sue vittime, la calunnia diviene così — nelle mani della scrittrice carioca — un efficace strumento d’analisi, una lente di ingrandimento per scrutare nell’animo umano, e non solo. La riflessione sull’infamia non si arresta infatti in questa opera alla sola lettura introspettiva dei protagonisti, ma si dilata, tanto da ripercorrere la recente storia brasiliana sulle tracce di altri casi di calunnia e di insabbiamento della verità, così da attribuire al tema anche una valenza storica e collettiva.
Ne emerge un inedito ritratto del Brasile di oggi che, prossimo a ospitare i Mondiali e le Olimpiadi e tra i candidati per l’Expo 2020, non può più essere considerato solamente come il país do carnaval, dalle atmosfere esotiche e tropicali.

Traduzione di Giulia Manera
15,20 
Il libro in breve

In una Rio de Janeiro contemporanea si intrecciano le vicende di due uomini: Manuel Serafim Soares de Vilhena, anziano ambasciatore in pensione, e Custódio, impiegato ministeriale. Manuel, affetto da cataratta e in attesa di un’operazione che possa restituirgli la vista completa, vive insieme alla moglie Ana Amélia; le sue giornate scorrono lente e monotone, fino a quando non arriva a sconvolgerle una cartellina verde piena di scartoffie e di documenti di Cecília, la figlia morta qualche anno prima in circostanze misteriose. Lo strano episodio costringe l’uomo a un doloroso riesame del decesso (e se la verità sul tragico evento fosse un’altra? Se le cause fossero diverse da quelle stabilite?). A questa storia si affianca — come un controcanto, nell’alternarsi dei capitoli — quella di Custódio, impiegato ministeriale che vede, progressivamente, sgretolarsi il proprio quotidiano. In seguito alla nomina del nuovo direttore, anomalie sempre più evidenti si verificano nella gestione delle forniture del suo ufficio e l’uomo, estenuato dal comportamento dei colleghi, indifferenti o addirittura ostili, decide di denunciarle a un giornalista. La vicenda, su cui viene aperta un’inchiesta, approda in televisione e per l’impiegato è l’inizio di un lungo calvario: le voci in merito a un suo ruolo attivo nelle truffe finiscono per rovinargli la vita, nel lavoro come negli affetti. Sebbene innocente, l’impotenza di Custódio nei confronti della calunnia e della campagna diffamatoria di cui è caduto vittima è totale.

Imprigionate in una rete di false accuse, quelle dei protagonisti divengono due esistenze abortite, strozzate — nella loro corsa parallela — in uno stesso imbuto, quello doloroso dell’occultamento e della distorsione della verità, dell’umiliazione e dell’isolamento che ne conseguono.

Anteprima

– Vuoi che accompagni qui la ragazza o preferisci riceverla in salotto?
– Ma di quale ragazza stai parlando, Ana Amélia?
– Della figlia di Vasconcelos. Non dirmi che te ne sei dimenticato. Sei stato tu a decidere il giorno e l’ora e a dirle di venire oggi.
È vero. Adesso se ne ricordava. Non poteva proprio sottrarsi.
– Ero distratto e l’ho dimenticato. Dille pure di entrare, certo.
– L’accompagno subito. E faccio fare un caffè. O preferisci un succo di frutta?
– Caffè e acqua.
Si era rassegnato, che altro poteva fare? Lo faceva per Ana Amélia. Era stata una sua idea e, sebbene la cosa non lo allettasse molto, aveva finito per essere d’accordo.
Ma non aveva bisogno di queste attenzioni. O almeno non ancora, anche se sapeva che in un futuro prossimo probabilmente sarebbero state necessarie. Ancora riusciva a leggere qualcosa – con una lente e la luce adatta.
Sapeva che non doveva affaticare gli occhi, è vero. Ma non sprecava più la sua vista con giornali, riviste o quanto non fosse essenziale. In ogni modo, non credeva che servisse a qualcosa ascoltare la voce di una ragazzina che tentava di leggergli i grandi testi della letteratura. Dubitava che lei riuscisse ad avere un’intonazione tale da rivelare una minima comprensione del testo, che potesse modulare la voce con sensibilità e intelligenza in quei passaggi che lo richiedevano e leggere senza esitazioni. Una ragazza che per l’età poteva essere sua nipote… Figlia di un collega che poteva essere suo figlio… Non avrebbe funzionato.

 

 

– Non si capisce cosa spinga una persona ad attaccare così gli altri. Solo per far vedere quant’è potente e dimostrare che può fare quello che vuole. Proprio come questa storia con Custódio. Ogni giorno se ne escono con una nuova bugia. Che non ha nulla a che vedere con la verità, ma solo per mettergli i piedi in testa. Sai che mi ricorda? Una storia del libro di letture della terza elementare di quando insegnavo. Una favola. Il lupo e l’agnello. Tu la conosci?
– Sì. I due vanno ad abbeverarsi nello stesso ruscello e il lupo comincia ad accusare l’agnello d’intorbidirgli l’acqua, anche se ovviamente è impossibile, perché si trova a monte dell’agnello.
– Proprio così. Comincia a dire che, se non quel giorno, era successo l’anno passato, o che era stato suo fratello, o suo padre. E non serve che l’agnello dimostri che non è vero, perché tanto il lupo gli salta addosso e se lo mangia comunque quel poveretto. È questo che stanno facendo a mio marito, Camila. Adesso manca solo che gli saltino addosso e lo facciano fuori. È questione di tempo.
Mentre terminava di asciugare il piano con un panno, Mila cercava ancora di darle qualche speranza:
– Chissà che l’avvocato non riesca a ribaltare la situazione. A provare che lui non ha fatto niente.
– Perché, esiste un modo per provarlo? Sono gli altri che dovrebbero provare che ha fatto qualcosa d’illegale.
E anche se in futuro fosse riconosciuto innocente di tutta questa storia, i colpevoli non verranno condannati. Mai. E nella testa della gente rimarrà sempre un dubbio. Una volta ho visto un film in cui una ragazza diceva una cosa, quasi senza pensare, e così venivano fuori delle voci terribili a proposito di un tizio, che finivano per distruggergli la vita. Alla fine, quando lei va a chiedergli scusa, lui le dice di prendere un cuscino di piume, di andare in cima a un palazzo un giorno in cui c’è vento, di strappare la federa e spargere tutto il contenuto.
Non è una questione di perdono, ma un caso in cui rimediare è impossibile. Non le sarebbe bastata una vita intera per raccogliere tutte quelle piume e rimetterle nuovamente dentro al cuscino. È per questo che siamo così disperati, oltre che esasperati.
Un’immagine precisa e visivamente molto forte. Camila era d’accordo. Mabel continuava.
– È per questo che alle volte ho paura. Penso che mio marito non riuscirà a sopportarlo. Ma non ne parliamo più. Andiamo di là in salotto con loro. E cambiamo argomento. Custódio ha bisogno di distrarsi. Non serve a nulla stare tutto il tempo ad aspettare che il lupo cattivo gli salti addosso.