La minuscola

Fino ad allora abilissimo nello schivare le responsabilità, nello “sbagliare strada”, un quarantenne scopre che sta per diventare padre.
Lui, che è precario per testarda vocazione, si accontenta di supplenze e occasionali collaborazioni, di smontare e rimontare racconti e anche biciclette, delle quali è appassionato.
Ma di fronte alla nascita della figlia ha una sorta di rivelazione che lo porta a smontare e rimontare la sua vita.

14,15 
Il libro in breve

Preso dall’incantamento, il protagonista accetta la presenza spiazzante della piccola. Non si capacita, ci mette tempo, la osserva come una specie di ricercatore assai dilettante, ne seziona gli umori e le conquiste, scopre quanto sia poco addomesticabile.

Mentre racconta gli impacci esilaranti, le peripezie picaresche di lavori come quello da tour leader per giri ciclistici, tiene alla neonata deliranti quanto affettuose lezioni di logica, ragionamenti estatici quanto teneri sulla termodinamica, e scopre “un mondo popolato di oggetti a cui sorridere”, un mondo in cui lui non era mai stato.

Il quotidiano diventa straordinario, il mutamento di rotta e del destino che da sempre racconta la letteratura hanno qui accenti di comicità disorientata, come se l’arte di accudire una figlia e quella di scrivere custodissero lo stesso segreto, quello del principiante.

Anteprima

Non risponde. Non parla. Non reagisce direttamente ai tuoi impulsi. Piuttosto è sempre lei che si impone con delle richieste abbastanza incomprensibili e fuori da ogni previsione. È umana?
Per più di mezz’ora l’hai cullata nel tentativo di addormentarla e finalmente ci sei riuscito. Giace abbandonata tra le tue braccia. Non è facile descrivere il senso di soddisfazione che ti prende in questi brevi momenti. Sono successi inattesi.
Ora che si è addormentata vorresti tornare alle tue occupazioni, vorresti dedicarti per qualche ora ai normali e consueti affari tuoi. La adagi lentamente nella culla o sul letto, con tutta la leggerezza di cui sei capace. Ma non appena la poggi si scuote, inizia ad agitarsi nel sonno. Nel giro di un minuto quella agitazione si tramuta in aperta ribellione […].

* * *

Si guarda attentamente le mani. Se le rigira davanti agli occhi. Sta a lungo intenta in questa occupazione.
Dicono che non comprenda ancora che quelle mani le appartengono e che è lei a provocarne il movimento.
Le osserva, le porta alla bocca, le agita in gesti inconsulti, stringe le dita del padre, afferra gli oggetti che la madre le avvicina e li sventola in aria scompostamente, se li sbatte anche sul muso. Arriverà in questo modo a conquistare, prima o poi, il pensiero delle sue proprie mani.
Se poi suo padre, nei suoi gesti di tenerezza, gliele accarezzerà o gliele stringerà quando, di sera, dorme in modo agitato, forse lo capirà anche un po’ prima che bella cosa piena di potenzialità sono le mani.

* * *

Il cucciolo del cavallo si chiama puledro. Quello del gallo e della gallina si chiama pulcino. Quello del maiale si chiama lattonzolo. E la madre si chiama scrofa. Quello dell’uomo si chiama neonato o infante o bebè. Il cucciolo di cane nella città in cui abiti viene detto canuzzo. Oppure semplicemente cucciolo. E la femmina si chiama la cane. Se la femmina è incinta basta dire: La cane è incinta. […] L’agnello è il piccolo della pecora. Il pecoro non esiste ma il maschio si chiama montone. Pecorone è spregiativo di pecora e viene usato per gli uomini che seguono il branco senza opinione propria. In giro ne è pieno. Poi ci sono la capra e il capretto. Il maschio è detto capro o caprone. Anche caprone si usa per gli uomini ed è sinonimo di persona poco agile nei ragionamenti. Ma si può dire anche becco, termine usato estensivamente per dire cornuto. Poi non ne esistono molti altri. I restanti sono tutti diminuitivi o vezzeggiativi dell’animale adulto. La tigre e il tigrotto. Leone, leoncino e leonessa. Gatto e gattino. Topo e topolino. La pantegana invece non ha piccoli e dunque nemmeno vezzeggiativi. Nascono già adulte le pantegane e a nessuno è mai venuto in mente di dare un nome ai figlioletti. Lo stesso dicasi per lo scarafaggio, nonostante il famoso detto dello scarafone che è bello alla sua propria mamma.

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