L’universo è una leggenda

Una storia dove personaggi di ogni tempo hanno trovato il loro posto. Si racconta un Mondo fuori dei limiti dell’Universo, così lontano che neanche è sicuro che ci sia; di stranezze in quel posto ce ne sono tante: strane religioni, strani partiti, strade che man mano che le percorri s’allungano. Pagina dopo pagina, a conti fatti, quel mondo sembra essere uno specchio deformato, ma neanche troppo, del nostro.

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Il libro in breve

La storia della nascita di L’universo è una leggenda comincia una sera durante una cena in cui Carlo Bordini dice a Massimo Barone: “Vai avanti tu. Prova a raccontare il seguito”. Bordini stava da tempo mettendo insieme un montaggio fatto di frammenti, ma adesso gli sembrava che mancasse un plot che li sostenesse, dei personaggi, una vicenda. Così prende forma la composizione polifonica che, a due anni dalla scomparsa di Bordini, Massimo Barone decide di dare alle stampe.
Fuori di sé stesso l’universo è tutta campagna. Sono tutti campi coltivati, e vi abitano pochissime persone in villaggi, e case sparse. Gli abitanti si recano periodicamente nell’universo, a farvi acquisti; per il resto fanno una vita molto tranquilla e chiamano “Il Mondo” la loro terra. Ci sono strane religioni, strani partiti, strade che, man mano che le percorri, s’allungano.
Un uomo e una donna, in cerca di Qualcosa, entrano nel vivo della storia passando per una fotografia: scoprono che si può passare dal Mondo a un altro mondo, attraverso le immagini. Così, entrando in una fotografia di Luigi Ghirri, vengono trasportati nell’altra dimensione: una sterminata Prateria, una distesa d’erba che muta a seconda dei desideri, accogliente e ubbidiente. È un luogo dove una notte “dura anche sei mesi e una stagione da quattro a sei anni terrestri”.
Qui arrivano gli scontenti, gli inermi, i fuggitivi da ogni tempo e luogo e raccontano la loro storia. Gente tormentata, emarginata, in punto di morte, in un vicolo cieco. Viene da concludere che non sarebbero qui se non avessero tutti questo passaporto.
Il primo a manifestarsi si chiama Eginardo, che si trova lì dentro “dal pomeriggio del quattro aprile dell’anno ottocentonovantasei dopo Cristo”.

Anteprima

Col tempo, si verificò all’interno dell’Universo un movimento migratorio, per cui gli abitanti, generalmente pochi, che sentivano particolare bisogno di tranquillità, si trasferivano nel Mondo. Essi erano comunque pochi. Questo ha dato comunque al Mondo il carattere di una comunità essenzialmente pacifica, essenzialmente agricola, un po’ sognante e astratta. Nei circa duecento anni che il Mondo ha accumulato, non ha creato grandi uomini, se si eccettua Leo Zibermann, suonatore di organetto, noto in tutto l’universo. Il carattere essenzialmente pratico dei suoi uomini e della sua organizzazione dunque, se non si è espresso in capolavori dell’arte o in grandi e fastosi teatri, hanno però creato leggi e consuetudini giuste, anche se un po’ noiose, tante che nell’Universo sono fiorite le barzellette sul Mondo, e si è diffuso il detto: “Noioso come una serata del Mondo”.
Gli abitanti del Mondo sono comunque affezionati alla loro terra, e ne sono fieri. Poiché amano le cose utili e hanno una fantasia limitata, tengono a ribadire queste loro caratteristiche con una serie di monumenti che sottolineano il carattere pratico della loro civiltà. In una piazza della capitale, un villaggio che su vecchie mappe dell’Universo è indicato col nome di Posto-che-è-come-se-non-ci-fosse o di Località-da-non-prendere-assolutamente-in-considerazione, ma che gli abitanti del Mondo hanno battezzato col nome pomposo di Nuova San Pietroburgo, sorge, probabilmente unico nell’Universo, il monumento alla Cosa.  (Carlo Bordini)

D’altra parte, ognuno di noi entrò con i suoi problemi in quella stanza, che era poi l’ultima a destra del corridoio. Semmai, la differenza tra me e loro stava nel fatto che Elena e Micheliovicz sapevano cosa c’era, io no. M’aspettavo, al più, qualche risposta o almeno altre domande. Certo non m’aspettavo che fosse quasi del tutto vuota.
Dall’unica finestra, s’intravedevano i grandi platani del parco e il cielo dorato del tramonto. Il brontolio sordo del traffico arrivava mescolato ai fischi delle rondini, da quelle parti più grosse e voraci di quelle dell’Universo. A sinistra di chi entrava c’era una sdraio di legno. Di fronte, accanto alla finestra, una foto appesa al muro. A terra, più o meno all’altezza della foto, era posizionata una lampada antiquata, col paralume a forma di corolla. Pareti e soffitto bianchi e vuoti, pavimento di mattonelle ottagonali color vino. A parte un intenso odore di muffa, non c’era altro.
Neanche fosse a casa sua, Elena andò dritta alla finestra e la spalancò, poi rivolse la sua attenzione alla fotografia.
– Ha proprio voglia di entrarci? – domandò Micheliovicz che s’era accomodato sulla sdraio. (Massimo Barone)