Tre quadernetti indiani

Due ragazzi italiani si incontrano per caso al Crown Hotel di Delhi. Reduci entrambi da un altro classico viaggio di iniziazione, negli Stati Uniti, fraternizzano subito, partono insieme per Benares, da lì a tappe raggiungono Kathmandu, dove si separano: Dario prosegue per Calcutta, dove scopre di avere la malaria, e da lì per Madras.
Di ritorno, Dario mostra i tre quadernetti del suo diario a Pietro che li illustra a china, poi i quadernetti si infilano chissà dove per rispuntare solo adesso.

 

Premessa di Valerio Magrelli - Postilla di Chandra Livia Candiani
12,82 
Il libro in breve

Il sud dell’India trattiene Dario e lo cambia: i cieli fradici di pioggia, la luna piena, sola contro gli attacchi di cumuli neri; città dove tutto formicola d’un tratto appena scende il buio, e città bianche e distese come Mysore. L’altopiano del Karnataka, lente chiatte cariche di sabbia o noci sui canali della laguna a Alleppey, il parco naturale a 2.000 m di altezza sul confine col Tamil Nadu.

Templi, tori e elefanti di pietra, divinità indu, Zarathustra. È l’India di Shiva, figlio del diluvio, dello sguardo di Parvati e insieme del festival di Santa Teresa d’Avila patrona di Mahé; di una statuona di San Giorgio e il drago accanto a una miniatura con Krishna che cavalca il pavone, in una bottega d’antiquario a Cochin. È l’India di Reg, un australiano del Queensland, dell’incontro con l’uomo del risciò, giocatore di scacchi, sotto il portico di un alberghetto, un labirinto di celle, corridoi e terrazzini a Jagganata; dell’austiaco di Vienna, di Esoj lo spagnolo, di un manager rinchiuso sei mesi al Mental Hospital di Madurai, del guardiano indu-comunista a Mahé.

Anteprima

Fu oltre le mura della città sacra, seguendo con occhi alti la linea della risacca, che incrociò lo sguardo di Parvati. Giunti di fronte, evocarono in parole il tempo dell’Atem, quando gli uccelli tenevano radici e le pietre galleggiavano. Poi, come a un segno convenuto, lei cominciò a carezzarlo dolcemente, finché insieme si addormentarono nell’umido della marea.
Al risveglio Shiva, figlio del diluvio, impose la regola del ferro e del fuoco: voleva penetrarla. Non prima però, sussurrò sbiancando Parvati, che tu mi accarezzi come già io stanotte. Shiva allora percorse in lungo e in largo il corpo di lei, in conquista. Ma giunto esausto ai suoi confini, finì per addormentarsi sopra.
Il giorno dopo toccò ancora a Parvati accarezzarlo. Accadde così che passassero mesi e anni di carezze a giorni alterni. Il momento dell’amore si allontanava dal desiderio come una festa senza patrono.
Una notte qualunque di luna piena Parvati esclamò: non è questo, amato, l’amore più bello al mondo? Shiva sorrise, e il cocco che gli faceva ombra, scricchiolando al vento, parve annuire.