Un metro lungo due metri

Il giorno in cui si riordina la soffitta della memoria saltano fuori dalla scatola dei ricordi anche frasi che hanno significato qualcosa. E supponiamo che la frase di tale professoressa Rapposelli “supponiamo di supporre un metro lungo due metri”, suggerisca che certi fatti non funzionino con il sistema bianco/nero o vero/falso. La realtà difficilmente si presta a letture unilaterali e il giudizio, di conseguenza, si fa incerto.

Supponiamo che Mauro Orletti decida che sia conveniente adottare la logica di “un metro lungo due metri” per affacciarsi in modo eccentrico sulle vicende personali e nell’intimità domestica di un notabile di stazza della Prima Repubblica, personaggio buffo e antipatico, innocuo e autoritario, senza cercare di dirimerne le ambiguità. Sembrerebbe poi che la stessa logica sfocata, svincolata dal criterio giusto/sbagliato, pigiama/non pigiama caratterizzi anche le scelte del nostro uomo. E in questo girare attorno alla vita di Remo Gaspari, sconosciuto ai più ma sedici volte ministro, protagonista assoluto nella gestione dell’alluvione in Valtellina, emerge un passato recente, in parte già finito nel dimenticatoio.

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Il libro in breve

Dai fatti tragici dell’alluvione in Valtellina del 18 luglio 1987, emerge la figura di un potente della politica, un notabile democristiano della Prima Repubblica. Ma la Valtellina e Remo Gaspari, con le sue luci e soprattutto le sue ombre, sono anche un pretesto per evocare gli anni ’40, la Democrazia Cristiana, i dorotei, le Brigate Rosse, De Mita e il “rinnovamendo”, gli anni ’80, il rampantismo socialista, Craxi, Lupo Alberto, l’amaro Ramazzotti e Maurizio Cattelan.

Mauro Orletti in questa biografia eccentrica, ma documentata a fondo, gira attorno alla vita di un uomo oggi sconosciuto ai più, definito “ministro dell’asfalto e del cemento” (Antonio Cederna), tra i maggiori simboli della decrepitezza civile e morale di un sistema di potere (Michele Serra), notabile di grande stazza la cui unica competenza conosciuta è quella in clientele (Giorgio Bocca).

Ma la realtà difficilmente si presta a letture unilaterali, specie quando subentrano le vicende personali, e il giudizio, di conseguenza, si fa incerto. La vita privata di Gaspari e l’intimità domestica condivisa con la moglie e il figlio, gettano una luce diversa sul personaggio pubblico. E in questo girare attorno alla vita di Gaspari il racconto si abbandona a una forza centrifuga che spinge verso altre vicende e altre figure, anche minime. I fili della narrazione sono innumerevoli, dipanati e intrecciati a seconda dei casi, talora sovrapposti. Entrano in gioco questioni che coinvolgono l’autore a tal punto da indurlo a mettere in pagina perfino stralci autobiografici, in rapporto più o meno diretto con la figura di Gaspari, abruzzese come lui.

Anteprima

Il 18 luglio, che è sabato, il rumore dell’acqua sui tetti di Sondrio è diventato insopportabile, un martellare ininterrotto che rincretinisce. La pioggia si unisce alla neve che si scioglie e l’Adda ribolle, livido e minaccioso, e comincia a far paura. Nessuno ricorda un’estate peggiore, neppure i vecchi, che continuano a guardare giù dai ponti e a scuotere la testa.

La maggior parte della gente è a casa, guarda la Tv. La sera c’è “La Corrida”, condotta con garbo da un signore di nome Corrado, oppure “Telefono Giallo” di un altro Corrado, Augias. Ma è la Democrazia cristiana, partito che in Italia governa da quarant’anni, a mandare in onda lo spettacolo migliore. Il suo leader è l’avellinese Ciriaco De Mita, entrato in piazza del Gesù, la sede storica della Dc, con la promessa di portare il “rinnovamendo”. De Mita ha uno stile démodé, la pelata prescritta dal potere e un accento irpino che nessuna scuola di dizione potrebbe addomesticare. Grazie alle “t” pronunciate come “d” è la pacchia degli imitatori e la bestia nera dei traduttori. In un vertice internazionale a Toronto nel giugno 1988, al quale partecipa come primo ministro, l’interprete che dovrebbe tradurre il suo intervento sfila gli auricolari e si dichiara sconfitto mentre gli statisti presenti girano e rigirano le cuffie convinti che ci sia un qualche problema di tipo tecnico.

Comunque i suoi “raggionamendi” non sono per niente ridicoli, semmai “complicadi”. E uno di questi “complicadi raggionamendi” lo porta tentare il miracolo della resurrezione che Gesù fece a Betania: far risorgere l’ottantenne Amintore Fanfani, un metro e mezzo di acume e vanità, già alla guida di un governo nel lontano 1954, e nominarlo presidente del Consiglio. Alla faccia del rinnovamento.

Con questa mossa De Mita affossa il governo in carica del suo nemico giurato, Bettino Craxi, primo leader socialista a capo di un esecutivo, stessa pelata, identica vocazione al potere, medesima sopravvalutazione delle proprie capacità. Il piano è il seguente: far votare la fiducia a un governo tutto Dc che, vista l’età di Fanfani, deve durare appena il necessario per riassestare qualche equilibrio. Ma c’è un imprevisto, un colpo di scena che neppure a “Telefono giallo” s’è mai visto o sentito: socialisti, socialdemocratici e radicali, che in teoria dovrebbero osteggiare la manovra dell’avellinese, annunciano di voler appoggiare il nuovo governo. Spiegata meglio: votano la fiducia per impedire a De Mita di fare e disfare governi a suo piacimento. A quel punto, rischiando di riuscire a fare ma non a disfare, tocca ai demitiani impedire la nascita di una maggioranza allargata ai socialisti. Per farlo si astengono al momento del voto. È come se Gesù avesse resuscitato Lazzaro per ucciderlo subito dopo.

In Valtellina, intanto, continua a diluviare. L’Adda e i suoi affluenti, il Frodolfo, il Poschiavino, il Mallero, il Tartano e il Brembo, sono diventati fiumi incontrollabili, gli straripamenti e le frane devastano ogni cosa. I turisti sono prigionieri negli alberghi, guardano sconfortati la Tv. Nell’hotel La Gran Baita, a Tartano, gli ospiti sono scesi nell’atrio. Chi sprofonda in poltrona, chi gioca a biliardino, chi organizza interminabili partite di ramino. Fra loro c’è Nazareno Marcotullio, un metro e novanta di delusione e avvilimento, che guarda la pioggia attraverso la veranda. È a Tartano da una settimana, sperava di divertirsi con lunghe camminate nei boschi e invece è chiuso in albergo. Si sente in gabbia. Guarda fuori e vorrebbe essere lì, a riempirsi i polmoni di aria buona. Guarda il pratone dove un tempo c’era la baita che ha dato il nome all’albergo. Non era costruita in un luogo qualunque ma in un punto preciso, un punto suggerito dall’esperienza. Lì di fianco, infatti, si era formato un vallone che convogliava le acque in discesa dal fianco della montagna. Perciò la gran baita, quella originale, era costruita al riparo dalle frane.

Poi, all’improvviso, nel punto in cui cerca di immaginare un possibile sentiero fra l’erba, Nazareno vede una massa indistinta che si muove a gran velocità.