Ferribbotte e Mefistofele

Storia esemplare di Tiberio Murgia

Tiberio Murgia, nato assai assai povero in Sardegna, poi giovane socialmente impegnato. Piccolo politico di professione e minatore, poi lavapiatti e infine divo. Divo assoluto, con la gente che ti ferma per la strada per chiederti gli autografi. È il paradigma dell’Italia del Novecento: un Paese all’affannosa ricerca di un’identità, ma benevolmente coeso sulla strada non tanto dell’emancipazione quanto piuttosto di un benessere condiviso. Mica per avere tutti il SUV, ma per mettere insieme – tutti – il pranzo con la cena.

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Il libro in breve

Sardo d’origine, siciliano per fama, romano d’adozione: Tiberio Murgia è stato tutto questo e molto, molto altro ancora. Giovane dirigente comunista nell’Italia del Dopoguerra, sciupafemmine impenitente, minatore a Marcinelle, lavapiatti e infine, dall’incontro con Monicelli, attore di clamoroso successo nella Roma della dolce vita.

Soprattutto, però, quella di Tiberio Murgia è una storia esemplare dell’Italia del Novecento. Va a scavare la più inquietante e affascinante contraddizione del teatro, quella tra uomo e maschera. Nell’impazzimento dell’identità nazionale, nel periodo illusorio del boom economico, è la storia di un uomo che nega la sua identità e ne accetta un’altra; un racconto fugace di come erano gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta nel nostro Paese.

Anteprima

La fame è una cosa seria. Anni dopo, a Tiberio Murgia capitava spesso di aprire la dispensa della cucina e guardarla con soddisfazione: lo stupiva di più avere tanti pacchi di pasta che tante donne. Quando la giovane segretaria di Franco Cristaldi riuscì a trovarlo, nel piccolo labirinto di Roma, per fargli firmare il contratto per quattro film in esclusiva dopo il successo clamoroso dei Soliti ignoti, Murgia per la prima volta non pensò a come conquistare quella giovane, ma gli tornarono in mente le pabassine che da ragazzino ammirava in una vetrinetta di Corso Umberto, a Oristano. Capitava che il pasticcere gli schiaffeggiasse anche la mano con la quale accarezzava timidamente il vetro: me lo sporchi con l’unto delle tue mani luride, gli diceva il pasticcere. La fame è una cosa seria, si disse Murgia quando la segretaria di Cristaldi lo trovò. E firmò il contratto progettando la vendetta che avrebbe consumato in primavera: stava arrivando il 1959.