Kabul Dreamland Hotel

Gabriele Maniccia si avventura ogni giorno fuori della zona protetta del Dreamland Hotel e, spogliato dell’abito del cooperante, si immerge nella realtà della strada.

Un anno a Kabul, dove la guerra non finisce mai.

Il libro in breve

Le sue pacifiche incursioni tra la gente procurano frammenti di verità; scatta le foto con una compatta evitando il piglio del reporter omologato. Dai suoi appunti emerge un grappolo di brevi narrazioni che riannodano il senso di un viaggio attraverso una terra difficile da raccontare.

Anteprima

Per qualche giorno non sono andato a fare la spesa.
Quando sono tornato, il fruttivendolo mi ha chiesto 5 dollari. Gli ho detto che ho sempre pagato 2 dollari. Il fruttivendolo pretende 5 dollari per pareggiare i conti per i giorni in cui non sono venuto a comperare la frutta.
Gli ho detto che se continua a chiedermi 5 dollari, vado da un altro negoziante. Lui ha detto che se vado da un altro, gli devo quello che ho mancato di dargli per un anno.
Ho fatto presente che sono italiano, non un americano pieno di dollari.
Oggi quando sono tornato a prendere le mie solite mele, il fruttivendolo questa volta, al posto di 5 dollari, mi ha chiesto 5 euro perché sono italiano.

Nessuno in Afghanistan sente a portata di mano una condizione di stabilità, nessuno è in grado di pensare a un benessere durevole. Per la gran parte di questa gente non c’è futuro e l’aspettativa di vita è molto breve.
Solo pochi, come Soomsur del Dreamland, hanno piantato qualche alberello qui e là, come segno di speranza o solo per un piacere momentaneo. Alcuni altri lì vicino hanno messo in fila, come recinzione del loro piccolo giardino, comuni piantine di sambuco selvatico, come fossero essenze rare.
Quelle piante messe lì, dalla forma scomposta e dalla crescita stentata, un po’ strambe per la mancanza di cure costanti, accrescono il senso di disordine e di abbandono. Nuove costruzioni sulle vecchie, genti diverse che si mescolano, l’aspetto incongruo delle strade e dei caseggiati: nessuna fotografia potrebbe rendere efficemente ciò che è. Questo è un luogo del quale nessuno può dire come è veramente, se non viene vissuto. E anche se vissuto è assai difficile raccontarlo.