Di rado si trova narrata la religione nella narrativa contemporanea italiana, tanto meno in un romanzo d’esordio: lo fa, invece, Mario Ferraguti in Rosa spinacorta, edito da Exòrma (pp. 177, euro 16). Si tratta di un testo ispirato a una storia vera, quella dell’ultima giovane vergine destinata a occuparsi della vestizione della madonna miracolosa.
Nel romanzo di Ferraguti questa ragazza prescelta si chiama Tecla: vive un vero e proprio apprendistato da parte della «donnadischiena», che svolgeva quel compito prima di lei e trascorre la maggior parte del suo tempo in compagnia di colei che nel romanzo viene definita «la Regina». Da notare, infatti, che qui la Madonna non viene venerata come madre, né invocata in nome della sua capacità di consolare il dolore, che ha vissuto nella sua forma più acuta quando ha dovuto guardare suo figlio mentre veniva torturato e ucciso. In Rosa spinacorta Maria è Regina e dispensatrice di miracoli.

TECLA viene messa a conoscenza dei segreti necessari a occuparsi della statua della Madonna: come curare le ferite che le infliggono i tarli, come riparare col filo di metallo le imperfezioni della veste causate dal tempo, come recidere le rose spinacorta che la Regina ha in mano, nonché la tecnica per far sì che il colore dei petali resti vivo, nel tempo.
Il romanzo consta invero del rapporto tra Tecla e la Regina, si struttura attraverso il dialogo che la ragazza immagina di avere con la Madonna e delle sue riflessioni su come Dio sia molto più distratto e incline al perdono, mentre Lei, così vicina a coloro che la pregano e sempre in ascolto, è molto più temibile, capace di graziare un assassino, ma non di tollerare una parola fuori posto.
Ciò in cui Tecla deve riuscire sopra ogni cosa, per rispettare la Regina, per rimanere all’altezza del suo compito e soprattutto per non incorrere nel biasimo e nella punizione delle monache e della «donnadischiena», è dimenticarsi di sé.

IL SUO CORPO, che inizia a fiorire mentre lei svolge il suo apprendistato, è il più grande ostacolo per la sua missione di dama di compagnia di una regina di legno.
Ovviamente, non sarà Tecla a decidere di vivere il desiderio che percorre il suo fisico di ragazza, verrà costretta a essere donna da un uomo, più precisamente dal matto del paese: Filippo, che Tecla in qualche modo ama, anche se mai avrebbe voluto essere presa, e con la forza, proprio davanti agli occhi della Regina. E in questo, nella scelta che la ragazza perda la verginità a causa di una violenza, c’è da una parte un omaggio al realismo per l’epoca in cui è ambientata la storia e dall’altra una svolta narrativa prevedibile.
A sorprendere, invece, è il prosieguo della vicenda, il modo in cui Tecla diventa davvero devota alla Madonna, in un afflato tutto umano, diverso dal sentimento di fede che provava prima di diventare madre, quando osservava i fedeli dall’alto, come se appartenesse a un limbo posto tra l’umanità bassa, terrena, e il cielo della Regina e degli angeli.

A COLPIRE è poi lo stile in cui Ferraguti sceglie di raccontare, che ha i tratti della favola mistica, con una musicalità che ricorda una litania e la scelta di un lessico che avvicina il testo a un racconto popolare, a una storia che viene la voglia di ascoltare. Di rado, però, le parabole o i racconti edificanti hanno come protagonista e coadiuvante due donne, che sono «carne seconda», come viene detto nel romanzo anche della Regina stessa, rispetto al Padre e al Figlio.