Salam è tornata

la parabola ecologica di un uccello sacro nella Siria di oggi

Nel 2000 un giovane biologo italiano sbarca in Siria per prendere parte a un progetto di cooperazione internazionale e compie una clamorosa scoperta scientifica, la cui notizia farà il giro del mondo.

Chi volesse rendersi conto di com’era la Siria, appena prima dello scoppio della guerra civile nel 2011, la troverà perfettamente fotografata in queste pagine. Sullo sfondo l’allarme per un collasso ecologico globale.

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Il libro in breve

La Siria, all’epoca, era ancora un sonnacchioso paese dittatoriale travestito da repubblica. Nel bel mezzo di un progetto di cooperazione internazionale finalizzato a creare una riserva naturale nel deserto di Palmira, Gianluca Serra scopre l’ultima colonia dell’Ibis eremita, un uccello dall’aspetto favoloso e bizzarro che si considerava estinto in Siria da più di settant’anni. Già sacro agli egizi, con il suo lunghissimo becco adunco è immortalato in un famoso geroglifico del Tempio di Horus.

Questo libro racconta l’avventura di quella scoperta, l’entusiasmo e gli incredibili ostacoli alla salvaguardia dell’ultima colonia mediorientale di ibis eremita – una battaglia lunga dieci anni – ma anche quello che sta accadendo oggi attraverso le voci di Hakim  e Mahmoud, due rifugiati palmiriani che ce l’hanno fatta, o di Ayoub che è voluto restare, o di coloro che stanno attualmente cercando di passare il confine turco in frangenti drammatici.

La Siria, appena prima dello scoppio della guerra civile nel 2011 tra le tende dei beduini come sotto il giogo dei famigerati servizi segreti, dentro i lussuosi palazzi del potere come nelle sue strade polverose.

Anteprima

La Siria dall’alto appare come una specie di superficie lunare: solo una limitata porzione di territorio montagnoso si affaccia sulla costa colorandosi di verde. Per il resto è il regno del deserto o della steppa desertica: al-Badia, come la chiamano loro, i siriani. Al-Badia deriva dalla radice bdeia, “inizio”: l’inizio di tutto. E qui in effetti un sacco di cose sono cominciate. Territori senza età, testimoni dei primi passi dell’evoluzione delle società umane. Grandioso palcoscenico dell’avvicendarsi inesorabile di imperi e civiltà, ritmati da guerre e invasioni epiche.

Proprio al centro di questo deserto, non è difficile scorgere una macchia verde, di un verde opaco, smorto.

Un’oasi che esiste probabilmente da sempre, balsamo per uomini e animali contro i bollori micidiali del deserto.

L’antico nome semitico è Tadmor: in epoca classica divenne nota con il nome di Palmira, uno snodo strategico della via della seta, una specie di isola verde circondata in tutte le direzioni da un mare di deserto che la rese ricca e bellissima.

Però un uccello migratore come Salam, della storia di Zenobia e delle spettacolari rovine che ancora la raccontano, o del carcere tristemente famoso, se ne infischierebbe. Penserebbe piuttosto all’oasi di Palmira come a un motel avicolo a cinque stelle, dove fermarsi per riprendere fiato durante le lunghe traversate migratorie del deserto. Vedrebbe le fronde e i rami degli alberi come un sospirato giaciglio. Gli antichi canali d’irrigazione, che percorrono in una fitta rete tutta l’oasi, come preziose fonti per abbeverarsi.

[…]

Il fuoristrada veniva insieme a un autista di nome Mohamad, un personaggio: riservato ed eccessivamente gentile, con un riporto da capogiro. Partiva dalla nuca per inerpicarsi sinuosamente fin quasi alla fronte, attraversando come un ponte sospeso zone del tutto calve e desertiche del cranio lucido. All’inizio l’idea di avere un autista mi mise a disagio, ma poi mi abituai, essendo prassi comune per quasi tutti i progetti internazionali. Non sospettavo allora quali sorprese questo autista mi avrebbe riservato.

[…]

«E va bene, Giaan, tanto vale che te lo dica: qualche anno fa ne ho accoppato uno con una fucilata, proprio in questo posto». La confessione di un delitto da parte di Ayoub. Era una mattina dei primi di marzo 2002, di fronte a una serie di rupi solitarie, dalle sfumature ocra e rosa, tra i calvi e selvaggi rilievi a nord di Palmira.

Sembrava di essere sbarcati da una sonda Apollo direttamente sulla superficie lunare.

Ayoub raccontò che ai tempi aveva portato l’esemplare appena ucciso in paese, poiché gli era sembrato alquanto singolare. Voleva mostrare il trofeo ai suoi compagni cacciatori. Tutti rimasero sorpresi e nessuno riuscì a dare un nome alla bestia.