Quattro giovani malviventi in fuga
Dalla penna ironica di Mario Valentini una storia che colora Palermo di nero e di giallo.
La parabola criminale di quattro giovani balordi di un quartiere periferico di Palermo – Brum Brum, Minchiasecca, Miracolo e Palummu Mutu – fa emergere la città con le sue dinamiche, la mafia come fatto reale, la cronaca, i contesti, gli ambienti e i fenomeni sociali. Dopo le prime rapine a mano armata fatte a quindici anni spostandosi in autobus e il loro arresto, i quattro decidono di organizzare un colpo grosso, un’azione da criminali veri.
Nonostante gli avvertimenti di Tanino Imparato detto Gesù Cristo, il capomafia della zona, i quattro portano avanti il loro piano. Ma, per una strana e sconclusionata casualità, nella fabbrica abbandonata in cui la banda ha nascosto le moto, viene ritrovato un bunker…
La specificità della cronaca e quella della finzione narrativa si intrecciano: da una parte c’è la realtà, con le sue ragioni; dall’altra il racconto. In mezzo ci stanno le cose, come barchette tra le onde, tirate un po’ di qua, un po’ di là.
La prima cosa da dire è che erano quattro. Per ora li chiameremo con il loro soprannome, quello con cui tutti li conoscevano alla Zecca. Poi vedremo cosa è meglio fare. Ci sarà modo, penso, di presentarli ben benino più in là. Brum Brum, Minchiasecca, Miracolo e Palummu Mutu non erano ancora maggiorenni all’epoca dei fatti. E l’epoca dei fatti era qualche anno prima del 2006. Vennero arrestati per reati di spaccio e per una serie di rapine messe a segno in alcuni negozi della città. Rapine a mano armata, di questo si trattava. Le rapine più insulse mai viste a Palermo. Fatte in autobus. Erano entrati a viso scoperto in alcuni negozi di vestiti sportivi, verso l’ora di chiusura, e minacciando con una pistola vera e perfettamente funzionante si erano fatti dare i soldi che c’erano in cassa e una serie di scarpe e magliettine firmate, da riempirci due zaini.
L’ultima rapina, quella in cui erano stati beccati, l’avevano messa a segno in un negozio della Nike. C’erano dei berrettini blu che gli piacevano molto, come piacevano a tutti i ragazzi della loro età. Li avevano tenuti addosso per tutto il tempo che avevano aspettato l’autobus.
Già, di per sé, che un autobus passi puntuale in questa città non è una certezza. Ma quel giorno era stato indetto uno sciopero. I quattro avevano aspettato inutilmente ridendo e scherzando con i cappellini in testa e la pistola ancora in tasca. Invece dell’autobus, tempo dieci minuti, erano passate due volanti della polizia. Andavano avanti veloci a sirene spente perlustrando la strada con molta attenzione. Ai poliziotti non gli era parso vero, non potevano credere ai loro occhi, vederli lì appoggiati alla pensilina dell’831 a ridere e a fumare con addosso i cappellini appena rubati.
Era stato un arresto facile facile. Gli agenti avevano tirato fuori le loro, di pistole, e mentre li sbattevano sul cofano per mettergli le manette ai polsi quelli ancora ridevano. Non avevano subito la minima reazione da quei quattro. Però gli aveva dato fastidio dover reggere in piedi dei mocciosi che si fottono dalle risate per ogni minchiata che gli esce dalla bocca. Oltre alla refurtiva, gli agenti gli avevano trovato addosso tre grossi tocchi di hashish marocchino, che era poi quello che stavano fumando. Ben oltre la quantità prevista per il consumo personale.
Si sarebbero fatti qualche anno al minorile.