Il viaggiatore sedentario
Un Malerba irresistibile raccoglie ciò che ha scritto in occasione dei suoi viaggi in Oriente facendo i conti con il mutare del concetto stesso di viaggio. Un libro riflessivo e trascinante che rivela uno sguardo curioso, sottile e ironico, puntato sui fatti della storia e sulla cultura tenendo sempre d’occhio i personaggi di sfondo, le comparse occasionali, l’anima dei luoghi.
Per Luigi Malerba l’Oriente è un Altrove, l’altra metà del mondo, che non si può ignorare, soprattutto la Cina e il Giappone; viaggiare in quella direzione significa non soltanto immergersi nel passato ma poter “gettare uno scandaglio nelle prospettive del futuro” per liberarsi della visione eurocentrica.
Dalla Cina amata sui libri, un primo viaggio lo porta nella dimensione del dopo-Mao, l’inizio della Modernizzazione; quando torna a Pechino una seconda volta è in piazza Tienanmen nei giorni drammatici della contestazione.
Al grande scrittore non interessa tanto descrivere quanto capire. Desidera fissare nel racconto attitudini, interessi e culture destinate a mutare o scomparire velocemente: “I grandi monumenti sono ancora lì che ci aspettano, ma molte cose scompaiono fatalmente ogni giorno per incuria, per ignoranza, per una diffusa e malintesa ideologia del nuovo”.
Oltre a Cina e Giappone, Malerba ci racconta di Samarcanda, Bulgaria, Armenia, Thailandia, Hong Kong e Macao.
dalla Prefazione dell’autore:
Ho sempre invidiato gli antichi viaggiatori che partivano alla scoperta delle «meraviglie» del mondo e le trovavano sempre (altrimenti se le inventavano). Meta di quei viaggiatori-esploratori erano soprattutto le regioni del Medio o Estremo Oriente, luoghi deputati del meraviglioso e del fantastico, ma il vero obiettivo di molti, dichiarato o segreto, era il Paradiso Terrestre.
Se per la massima parte i miei viaggi hanno preso la direzione dell’Oriente, questo non è avvenuto perché speravo di trovare il Paradiso Terrestre, ma perché quelle antiche civiltà, nate e cresciute senza comunicazione con le culture fiorite intorno al bacino del Mediterraneo, appartengono a un Altrove che non si può ignorare se non vogliamo restare ancorati a una ideologia ottusamente eurocentrica, dimenticando l’altra metà del mondo. È uno scandalo culturale che, nonostante le veloci comunicazioni, le culture dell’altra faccia del pianeta ci siano ancora in gran parte ignote. Non dimentichiamo che la civiltà cinese era già evoluta quando l’Europa era abitata da rozze popolazioni dedite alla pastorizia. Detto questo voglio aggiungere che viaggiare in Oriente non significa soltanto immergersi nel passato, ma anche gettare uno scandaglio nelle prospettive del futuro, se è vero che l’asse del prossimo millennio già si sta spostando dalle coste dell’Atlantico a quelle del Pacifico.
Ancora oggi si può partire con libertà di programmi e di percorsi, se non proprio alla ventura come facevano gli antichi viaggiatori che cercavano il Paradiso Terrestre. È il modo migliore per scoprire in proprio le «meraviglie» dell’Oriente e portare lo sguardo su regioni dove la fantasia sembra sopravvivere ai conflitti sanguinosi, alle repressioni violente, alla ideologia mercantile, alla libidine della distruzione.
Ho sempre desiderato viaggiare a zig zag, fare digressioni e deviazioni come i nostri antenati che viaggiavano in diligenza o come noi stessi quando viaggiamo in automobile rinunciando alle autostrade. Lo spiritello dello zig zag ci dice che non sempre la linea più breve fra due punti è la retta e che nemmeno il tempo di un breve viaggio è rettilineo come si capirà anche dai miei resoconti. Le sorprese si hanno soprattutto quando si esce dalle rotte più battute e più comode, senza preoccuparsi delle lacune, sulle quali non ho mai versato nemmeno una lacrima.
I grandi monumenti sono ancora lì che ci aspettano ma molte cose scompaiono fatalmente ogni giorno per incuria, per ignoranza, per una diffusa e malintesa ideologia del nuovo. Ho visto a Pechino le ruspe smantellare il superstite quartiere mandarino con le antiche residenze affacciate sui cortiletti interni come le ville romane di Pompei, in Thailandia sono stati ormai sostituiti con il cemento quasi tutti gli antichi fragili quartieri di case di legno. La povertà ha protetto fino a oggi Macao dall’assalto degli speculatori ma non si sa per quanto tempo ancora si potranno vedere le vecchie strade della Cina feudale e gli splendidi palazzi coloniali costruiti dai Portoghesi. Fino a quando la vecchia Shanghai resisterà alle nuove costruzioni di vetro e cemento che cominciano a corrodere il tessuto urbano degli antichi quartieri? È vero che fra tanti orrori d’Oriente è nata la nuova Hong Kong che è forse la più bella città moderna del mondo, più bella di New York, più bella di Chicago, ma anche lì abbiamo perso un brandello di storia che nessuno ci potrà restituire. Dunque questo libro vuole essere un invito a dirigersi verso Oriente prima che anche quei paesi lontani vengano omogeneizzati dalla aggressione edilizia, dalla furia della modernizzazione a ogni costo, e dagli orrendi fast food. Sono peggio le ruspe, si capisce, ma nemmeno i fast food sono innocui e già si diffondono a Hong Kong, a Bangkok e forse altrove: la loro presenza finirà per corrompere le cucine indigene che andrebbero protette e conservate non meno dei quartieri medievali o delle residenze mandarine.
Ho raccolto in questo libro quasi tutte le cose che ho scritto in occasione dei miei viaggi. Non tutte, perché molti viaggi, soprattutto quelli in Europa, poche volte hanno lasciato traccia scritta se non nei miei taccuini di appunti, e solo per memoria privata. Ma che cosa significa oggi viaggiare? Me lo sono domandato prima di pubblicare questo libro.
Nei secoli scorsi il viaggio aveva un valore di per se stesso e la meta di arrivo aveva importanza relativa o addirittura era ignota al viaggiatore. E non era tanto raro il caso di un viaggiatore che pensava di arrivare in un luogo e arrivava in un altro. È successo anche a Cristoforo Colombo. Il viaggio dunque come avventura, come esplorazione, come esperienza e scoperta. Più precisi viaggiatori sono sempre stati i commercianti e i missionari, ma qualche volta anche loro si perdevano per strada. Da queste diverse attitudini nascevano le relazioni scritte: racconti del percorso, descrizioni degli uomini e delle cose, stupore di fronte al nuovo, vero o fantasticato. Un genere letterario in via di estinzione.
Un tempo si partiva per viaggiare, oggi nella maggioranza dei casi si parte per arrivare. Si parte da Roma e si arriva a Milano, a Parigi, a Berlino, a New York, a Hong Kong, a Pechino, a Tokyo, ma fra la partenza e l’arrivo c’è il vuoto, un tratto di matita sulla carta geografica, senza tappe, senza incontri, senza paesaggio, senza avventura. Sono chilometri «ciechi» di cui non serbiamo memoria. Ci accorgiamo così che il progresso dei mezzi materiali provoca talora scarti e mutamenti nelle idee generali, nel nostro caso muta il concetto stesso di viaggio, che non è più un percorso ma una partenza e un arrivo. È nata una nuova specie di «viaggiatore sedentario» alla quale appartengo anch’io.
Mi sono accorto, rileggendo queste pagine, che mancano quasi del tutto le descrizioni. Questo deriva da una scelta, ma anche da una necessità. La scelta è il tentativo di capire e non quello di descrivere. La necessità è quella di non tentare la competizione con i mezzi audiovisivi che ci propongono immagini fantastiche da ogni angolo del pianeta. Per queste ragioni ho inserito nel libro alcuni testi, in parte inediti, che non sono propriamente scritti di viaggio, ma li continuano e li completano. È accaduto soprattutto per la Cina e il Giappone, due paesi che mi hanno interessato anche prima di mettervi i piedi e che continuano a interessarmi o a confondermi anche dopo i miei viaggi.
I testi sulla Cina sono divisi in due tempi, che corrispondono ai miei due viaggi in quel paese. I primi testi, che portano la data del 1980, sono apparsi quasi tutti sul «Corriere della Sera» al quale collaboravo allora, e poi in un libretto pubblicato nel 1985 da Piero Manni Editore in edizione numerata sotto il titolo Cina Cina con una prefazione di Romano Luperini. Gli altri testi dalla Cina, che portano la data del 1989, sono rimasti nel cassetto fino a oggi ad eccezione di un articolo scritto per «la Repubblica» dopo l’eccidio di Tienanmen e che qui compare con il titolo «La vendetta dell’antenato». Seguono alcuni altri testi di argomento cinese scritti in varie occasioni prima o dopo il mio viaggio del 1989.
Salvo brevi aggiustamenti formali ho lasciato tutti i testi nella loro redazione originale, con le valutazioni e le previsioni che mi suggeriva il momento, anche se alcune prospettive sono cambiate o stanno cambiando, perché mi sembra che in qualche misura possano essere testimonianza e memoria di attitudini, interessi e culture che stanno mutando o che vengono cancellate velocemente sotto i nostri occhi.