A rose is (still) a rose: Shaimaa El-Sabbagh

A rose is still a rose Acconcia

(articolo di Giuseppe Acconcia pubblicato il 28/01/2015 su Nazione Indiana)

Una rosa per la rivoluzione

In ricordo di Shaimaa El-Sabbagh (1983-2015): il simbolo della sinistra egiziana

Per le strade delle città egiziane la disillusione e lo sconforto hanno lasciato spazio alle più cruente proteste da un anno a questa parte. Nel 2014, per ricordare i giorni della rivoluzione, vennero uccise sessanta persone. Questa volta sono 23 i morti, 97 i feriti e 500 gli arresti negli scontri per il quarto anniversario dalle proteste di piazza Tahrir del 25 gennaio 2015. Scontri tra manifestanti e polizia si sono svolti al Cairo, Alessandria d’Egitto, nel governatorato di Beheira e nel quartiere popolare di Mataryya.

Ma per sdegno e dolore, la morte di Shaimaa El-Sabbagh è senz’altro la vicenda che segnerà non solo queste nuove contestazioni ma l’intero impegno politico anti-regime della frammentata e divisa sinistra egiziana. Shaimaa, 32 anni, è una poetessa e una martire degli operai e dei lavoratori egiziani. È stata uccisa da un poliziotto nel pomeriggio di sabato. L’attivista del partito dell’Alleanza socialista stava partecipando a una manifestazione organizzata dal movimento di sinistra in piazza Talaat Harb, a due passi da piazza Tahrir. La giovane, madre di un bambino di cinque anni, Bilal, stava portando fiori e rose a Tahrir per commemorare i morti delle rivolte del 2011 quando è stata raggiunta da un proiettile di gomma, sparato da un poliziotto che si trovava a pochi metri di distanza da lei. Secondo l’autopsia, il colpo ha perforato cuore e polmoni di Shaimaa. «Il marito, Osama, trasportava in braccio il suo corpo insanguinato, l’ha condotta dietro al caffè Bustan mentre suo figlio Bilal piangeva», ci racconta l’amica e attivista Reem Gamal che ha assistito alla scena. «In ospedale, per dare l’autorizzazione per la sepoltura, hanno chiesto ai familiari di dire che si è trattato di suicidio», ha aggiunto la giovane attivista.

In realtà dal momento della morte di Shaimaa, i media egiziani hanno iniziato a dare una versione completamente insensata sulle circostanze della sua fine, puntando il dito addirittura contro i suoi compagni di partito. Soltanto sul quotidiano filo-governativo al-Ahram si è levata una voce critica contro la polizia dell’editorialista Ahmed Sayed al-Naggar. «È assurdo. Le autorità egiziane tentano costantemente di discolpare la polizia», ha commentato Reem. Anche il Segretario del partito socialista, Talaat Fahmy è stato picchiato dalla polizia durante la sparatoria. Sei sono i feriti in seguito agli scontri, costati la vita a Shaimaa.

«Sempre dalla parte dei lavoratori delle fabbriche di Alessandria», è il ricordo di Shaimaa dell’attivista per i diritti dei lavoratori, Mahiennur el-Masry, più volte in prigione per il suo attivismo al fianco degli operai e in attesa di un nuovo verdetto il prossimo 9 febbraio per un attacco alla stazione di polizia di Alessandria, durante la presidenza Morsi. «Prima delle rivolte del 2011, Shaimaa era un’attivista di sinistra senza un’affiliazione precisa. Durante le contestazioni di piazza Tahrir ha iniziato a fare politica con l’Alleanza socialista. Era una delle donne più sincere e impegnate per la difesa dei diritti dei lavoratori che io conosca, partecipava a scioperi e sit-in nelle fabbriche di Alessandria ed era un membro dell’ufficio permanente dei lavoratori che raggruppa sindacalisti, attivisti e operai», ci racconta commossa Mahiennur.

Per Moataz Elshennawy, portavoce del partito dell’Alleanza socialista, si è trattato di un «assassinio premeditato» a opera della polizia. Moataz ha anche aggiunto che la manifestazione non era stata autorizzata (in base alla legge anti-proteste è impossibile ottenere autorizzazioni in tempi utili per manifestare) ma era stata annunciata in anticipo. Il procuratore del Cairo ha aperto un’inchiesta sulla morte di Shaimaa. Il ministro dell’Interno ha negato invece la responsabilità della polizia negli attacchi, mentre il premier Ibrahim Mahleb ha assicurato che chiunque si sia reso responsabile della sua morte sarà giudicato in un giusto processo.

Per le strade del Cairo è subito apparso un murales in memoria della grande rivoluzionaria operaia che era Shaimaa. Si vede la giovane che stringe tra le mani un manifesto a sostegno di poveri ed indifesi, come era solito vederla alle porte di fabbriche o durante gli scioperi a cui prendeva parte. I funerali di Shaimaa ad Alessandria si sono trasformati in una grande manifestazione degli attivisti socialisti e di sinistra contro il regime di al-Sisi. Centinaia di compagni gridavano canti contro la polizia e innalzavano cartelli con la sua foto.

Il candidato alle presidenziali della Corrente popolare, Hamdin Sabbahi ha reagito duramente alla notizia della morte della giovane attivista: «È inaccettabile che venga versato il sangue di egiziani che protestano pacificamente». In un’affollata conferenza stampa, politici egiziani liberali e di sinistra tra cui Medhat el-Zahed e Hala Shukrallah, hanno duramente condannato le «tattiche oppressive» del governo.

Le proteste di ieri, nonostante il lutto nazionale dichiarato per la morte del re saudita Abdullah, sono state organizzate dai Fratelli musulmani, dal movimento 6 Aprile, che ha chiesto ai suoi affiliati di raggrupparsi in alcuni quartieri circostanti piazza Tahrir: Abdel-Moneim Riyad, Abdeen, Opera e Bab Al-Louk; e da vari gruppi socialisti. Decine di attivisti islamisti che mostravano le foto dell’ex presidente Mohammed Morsi, secondo loro, l’unica e legittima guida del paese, sono stati immediatamente arrestati dalla polizia.

Anche il noto rapper Ahmed Mohsen che suonava con Amr Haha e Alaa Fifty nel quartiere periferico di Matariya, ora il cuore delle contestazioni dei Fratelli musulmani, è rimasto ucciso negli scontri del 25 gennaio. La sua famiglia, come nel caso di Shaimaa, ha ammesso di aver subito pressioni prima che venisse autorizzata la sepoltura del giovane a dichiarare che si fosse suicidato per non allungare la lista dei contestatori, uccisi dalla polizia, nelle proteste.

Secondo il ministro dell’Interno, Mohamed Ibrahim, uno degli artefici del massacro di Rabaa al-Adaweya del 14 agosto 2013, con le contestazioni di domenica scordsa, i Fratelli musulmani avrebbero voluto «un’altra rivoluzione». In realtà, da fonti del movimento, apprendiamo che il principale partito di opposizione, ora in clandestinità, ha chiesto ai suoi sostenitori di scendere in strada solo in piccoli gruppi senza arrivare a uno scontro diretto con polizia e militari per evitare una nuova carneficina, mantenendo un profilo basso, come di consueto dopo il massacro di Rabaa. In merito alla morte di Shaimaa, Ibrahim ha detto che se l’inchiesta dovesse rilevare responsabilità di un ufficiale di polizia, sarà lui stesso «a portarlo al processo». Parole piene di ipocrisia poiché la polizia in Egitto continua ad agire con metodi arbitrari e nella totale impunità. Secondo Ibrahim, i poliziotti avrebbe anche sventato vari tentativi di assalti a stazioni di polizia.

La morte di Shaimaa conferma una volta di più quanto la repressione non colpisca solo i movimenti islamisti ma anche i partiti laici, di sinistra e i movimenti giovanili. Non solo, chiarisce che la disillusione per il fallimento delle rivolte non si è ancora trasformata in disimpegno. Per questo al-Sisi non può dormire sonni tranquilli. L’aggressività di polizia e del ministero dell’Interno, insieme al ritorno degli uomini di Mubarak, se uniti a nuove manifestazioni di piazza, possono mettere a dura prova la tenuta del regime dell’ex militare, costretto a procrastinare lo stato di emergenza nel Sinai per altri tre mesi, e creare condizioni esplosive in vista delle elezioni parlamentari di marzo. Per riappropriarsi dello spazio pubblico i movimenti giovanili egiziani hanno indetto una manifestazione in piazza Talaat Harb in memoria di Shiamaa, che è stata seppellita nello stesso cimitero del simbolo delle rivolte egiziane del 2011, il giovane Khaled Said, ucciso ad Alessandria dalla polizia, il prossimo 29 gennaio.

tratto dall’articolo pubblicato sul «Manifesto» del 26 gennaio 2015

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