La ballata delle frontiere

Storie dal secolo belva

Testimone e cronista delle più importanti crisi internazionali degli ultimi anni, Flavio Fusi dischiude i suoi taccuini di appunti ed è come affacciarsi da una terrazza pericolante sull’orlo di un secolo che tutto divora.

PREFAZIONE DI GIOVANNI FLORIS
Il prezzo originale era: 16,50 €.Il prezzo attuale è: 15,70 €.
Il libro in breve

Atterriamo con lui su un pianeta di conflitti a bassa intensità che poi deflagrano, come a Gaza. Dalla dissoluzione del fianco orientale dell’Europa alla gola squarciata tra Nord e Sud del mondo, l’autore guarda ai milioni di esseri umani spinti oltre le frontiere dal secolo belva: antiche frontiere che esplodono e frontiere nuove che sorgono, frontiere non scritte, terre di mezzo e grandi fiumi-frontiera, tra illusioni, nuove schiavitù e massacri.
Le testimonianze frammentarie degli ultimi, le storie minuscole, si mescolano alla ricostruzione degli eventi e alla descrizione dei luoghi in un racconto periferico e avvolgente fino alla frontiera delle frontiere: là dove la terra finisce e il mare comincia

«Fusi racconta, ma solo dopo essersi preso la responsabilità di capire».
[dalla prefazione di Giovanni Floris]

Anteprima

In questa storia alla rovescia, dall’inizio della guerra di Putin il solo Kazakstan – che condivide con la Russia una frontiera lunga quasi settemila chilometri – ha dato asilo a più di 200mila profughi. Si passa in gran parte dal varco di frontiera di Uralsk a sud di Togliatti-grad, la città che raccontava l’homo sovieticus e il mito internazionalista. Oggi una generazione dispersa volge le spalle al grande paese: l’ingegnere, l’insegnante, il giovane studente, il matematico, dovranno inventarsi una nuova vita, nuove abitudini, nuove quotidianità e nuovi rituali. Nuovi sogni, se possibile.
Del sogno tradito ci sono testimoni vivi come il mite, indifeso Vladimir Kara Murza: negli anni scorsi lo abbiamo visto – questo giovane studioso e attivista democratico – inginocchiato davanti all’altare di fiori e candele, quando era ancora possibile sostare in preghiera sul ponte dove fu ucciso Boris Nemtsov. Erano amici e compagni di lotta, Vladimir e Boris: uno è ora nella fossa, l’altro condannato a venticinque anni di prigione in un carcere di massima sicurezza, che corrisponde – in questa Russia di Putin – al sigillo di sepoltura del gulag: “Dieci anni senza diritto di corrispondenza”. E il reato è una specialità della giustizia imperiale, come ai tempi remoti di Alessandro e Nicola: diffusione di informazioni false e alto tradimento. Con le manette ai polsi, chiuso nella gabbia degli imputati, prima di essere portato via il condannato grida: “La Russia sarà libera, ditelo a tutti”. Ditelo a tutti. Del sogno tradito ci sono testimoni morti: oggi Aleksej Navalny, ucciso in un gulag siberiano, come ai tempi di Osip Mandel’stam, di Varlam Šalamov, di Aleksandr Solzenicyn: il resoconto burocratico di questo assassinio – “ha avuto un malore durante la passeggiata quotidiana” – è come la risata del boia.