Nostra Regina dei burroni e delle mosche

Un canto di terra e diserzione. Un inno alla disobbedienza dinanzi all’insensatezza delle guerre, di tutte le guerre, testimonianza implacabile racchiusa in un raglio stonato.

Le giurai che presto ci saremmo affrancate dalla cattività e che Camillo, ovunque adesso si trovasse, sarebbe stato orgoglioso della nostra intenzione di libertà. Sarebbe stato fiero del coraggio di noi ciuchi disertori nella terra cosparsa di fuoco, ferro e corpi sventrati.

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Il libro in breve

Prima guerra mondiale, agosto 1916: un’asina si aggira sul campo della battaglia dell’Isonzo (nota anche come battaglia di Gorizia). In quei giorni perirono, tra le opposte fazioni, circa centomila persone. Un inenarrabile massacro che, con smisurata compassione e poesia, viene invece narrato dall’asina Regina.

Lei, carica di grano e vettovaglie, marcia su crepacci e burroni, tra sangue e corpi mutilati, per portare conforto ai soldati affamati e insonni. Ma quando la caricano di fucili, obici e granate la nostra Regina pianta i suoi zoccoli a terra, non trasporterà strumenti di morte. Preferisce gli insulti e il nerbo sulla schiena. Sceglie la diserzione. La sua voce non umana raglia forte lo scempio di una guerra feroce, raglia nelle trincee di fango dove gli uomini cercano riparo e raglia a Sabella, ciuchina rimasta sola e disperata, il sogno di libertà che ha immaginato per loro due.

Regina ha un corpo ossuto, fragile, ma animato da una fibra d’acciaio e una dolcezza segreta capace di cogliere i bisbigli dei trapassati nel respiro del cielo notturno mentre misura a passi felici i sentieri dell’Appennino. Lei in certe sere raglia la sua riconoscenza alla luna. E all’alba insegue chiarori e solitudini lungo cammini tra alture, forre e pietraie, alla ricerca di teneri germogli e sorgenti. E dell’ombra di un qualche dio aggrovigliato al segreto dei rovi.

Un elogio al valore della pazienza, della cura e dell’amicizia. Lode allo scandalo della mansuetudine e della compassione. Racconto dell’alleanza gentile dei viventi nello scorrere ineluttabile del tempo condiviso.

 

Anteprima
CANTATA DEI MISTERI

Nel quarto mistero doloroso di canto ferino
si contempla Nostra Regina
che conosce il prezzo oltraggioso
dell’odio della guerra e la frontiera
è insulto malcelato da bandiera.

Ooooooh! Ooooooh!

 

Conosco la strada dei ritorni. L’ho riconosciuta anche nella stagione che grondava di fuochi maligni, di botti, di fumo, di schianti.

Mi mandarono con uomo-padrone, dopo lunga marcia, sui crepacci e gli strapiombi, carica di grano e vettovaglie, per portare conforto alla carne da cannone. Per alleviare la fame, la sete, le insonnie di quegli occhi sgranati nel fango di trincee contese da topi, pidocchi e scarafaggi.
La chiamavano guerra quella congerie di rovine. Io vedevo solo un diluvio di sangue ed escrementi. Era tutto orribile. Quella furia degli umani non la conoscevo. Non l’avevo mai sospettata. Non così tanta, almeno. Non così…

Un mattino mi alleggerirono di pane e di razioni per caricarmi addosso fucili, baionette, granate, obici e bombarde. Mi ordinarono di andare, ma io quella volta mi impuntai. L’odore di polvere pirica e d’iprite mi disturbava le narici. E mi impuntai. Piantai gli zoccoli di pietra nella terra insanguinata e non mossi più un passo.