L’unica notte che abbiamo

Di notte, un uomo alla finestra. Ascolta voci che tornano da oltre il buio. Sono quelle che un’anziana signora, poco prima di tramutarsi anche lei in pulviscolo di parole, ha consegnato all’uomo che ne diventa il custode. Perché ogni essere umano – è questo che l’uomo si dice – prima o poi è chiamato a prendere in consegna la voce di un altro essere umano, e ogni vita è chiamata a offrire la propria voce, per quanto flebile essa sia, a un’altra vita.

15,20 
Il libro in breve

Le parole giungono come relitti su una costa solitaria. Sono i morti che parlano, ma non tra di loro e nemmeno con i vivi. Monologano, chiusi ognuno nella bolla del proprio ricordo. Ripetono il frammento di storia in cui tutta la loro esistenza è contenuta, come un pianeta che un’indicibile forza di gravitazione ha fatto collassare su sé stesso e trasformato in un unico minuscolo grumo di materia. Ognuno torna sul luogo della propria ferita e la esibisce come per chiedere perdono.

 

L’anziana signora ripercorre le vicende della sua famiglia che nessuno ha mai voluto né raccontare né ascoltare. Cerca tra le mura di un paese senza vita la ragazza che ha abbandonato il figlio, suo padre, poco dopo averlo messo al mondo.

Rivede la maestra, a cui il bambino è stato affidato, impegnata nella sua estenuante interrogazione di fronte al silenzio di Dio e di un corpo incapace di dichiarare il suo bisogno d’amore. Ripercorre la via dei campi con la nonna materna, per lunghi periodi suo unico sostegno affettivo. Rivive il rapporto conflittuale con il padre, un sagace perdigiorno di paese, intimamente e indelebilmente ferito dalla tragica esperienza della ritirata di Russia, che ha eletto i bar a proprio dimora. Quella dell’anziana signora è una deposizione che non risparmia le accuse, ma che allo stesso tempo va in cerca di prove per una possibile assoluzione dei protagonisti. È anche una deposizione di corpi sofferenti e mortali, spogliati via via dei propri sintomi, gettati ai margini del tempo e divenuti sacri proprio in ragione della loro inermità.

Anteprima

Ma non voglio inventarmi scuse né farla lunga, il fatto è che ero così giovane e non sapevo niente di come va il mondo, ero solo una bestia selvatica cresciuta assieme alle galline e ai conigli nei prati qui sotto e nei cortili tra queste poche case, una bambina che non poteva nemmeno ricordare la faccia di sua madre – mi dissero che il male di cui soffriva l’aveva portata via pochi mesi dopo la mia nascita – e a stento riconosceva quella di suo padre.