Le pietre
Iride Zanardò e don Danilo, Nonno Ramaglia, Giacometti col Tarella e il Cappon sono solo alcune delle voci di un romanzo corale, nel quale si intrecciano i racconti di un’intera comunità; ed è una polifonia divertita e irrequieta quella che, come durante una lunga serata di veglia, divagando tra passato e presente, tra mondo di sopra e mondo di sotto, contaminando dramma e commedia, ghost-story e favola, rievoca l’intricato e ineludibile vincolo con le pietre.
Tutto è in movimento in questo romanzo: sono sempre in giro gli abitanti del villaggio alpino di Sostigno, che salgono alle baite di Testagno e subito dopo scendono, in transumanze sempre più frequenti e frenetiche; si agita il fiume, anzi il torrente, che «certe anse se le inventa la notte, e la mattina le scopriamo come un regalo di Natale al contrario». Soprattutto, si muovono le pietre.
Certo, la vallata si è formata su detriti, su instabile sfasciume: ma il dato geologico non basta a spiegare i bizzarri fenomeni che da decenni coinvolgono i paesani, quella specie di iperattività del mondo minerale che moltiplica le pietre nei campi, nelle case, ovunque. I sostignesi, però, non se ne lamentano troppo, anzi cercano di sfruttare l’esuberanza pietresca a loro vantaggio.
Gli eventi recenti si intrecciano con la storia passata dei coniugi Saponara, cittadini in pensione approdati in montagna: è proprio in una stanza della loro “Villa Agnese” che si sono materializzate dal nulla le prime pietre, accumulandosi giorno dopo giorno in un crescendo tra Ionesco e Buster Keaton.
Comunque, una volta, quando i nostri vecchi erano giovani, questa valle non era così, un mondo in frantumi. Crediamo di sapere da chi è iniziata tutta la storia. Lo sappiamo perché continuiamo a raccontarcelo gli uni con gli altri, la sera, fino alla noia. Le prime pietre sono toccate ai Saponara, gli intellettuali del paese.
Ettore e Agnese Saponara erano gente di città, che si era trasferita a Sostigno dopo che lui era andato in pensione. Lei, Agnese, aveva ottenuto la cattedra al villaggio, e teneva una classe di bambini dalla prima alla quinta. Era una maestra di quelle di una volta, insegnava tutte le materie, e per effetto del gran numero di ore passate assieme in classe si infilava zitta zitta nella vita dei suoi alunni fino a diventare più influente dei genitori. Ma non lo faceva apposta, non era lei, era il suo ruolo. Doveva rappresentare la voce della ragione, la forza del controllo delle cose. Sembrava avere sempre una risposta buona per ogni dubbio, la maestra Agnese. Che poi fossero le risposte giuste, questo è da vedere; ma allora nessuno controllava mai, ci si contentava, e di certo non si contestava, al massimo si diceva: è una di città, come se essere di città ed essere di montagna fossero due condizioni diverse, fondate su verità opposte e su linguaggi che non combaciavano davvero, facevano solo finta.
Andava in giro di rado per Sostigno senza il marito. Il massimo che si concedeva, ma mai più di una volta al mese, era una capatina dalla Nerina Cicognano, che faceva la messa in piega alle donne del villaggio. Altrimenti si arrangiava in casa da sola, e lo notavi subito, perché le venivano fuori certe acconciature che penzolavano ora da una parte ora dall’altra, a ogni gesto, e non duravano mai più di mezz’ora.
***
Di colpo qualcosa da dentro afferrò la maniglia e scosse la porta. Agnese spaventata retrocedette, inciampò e cadde seduta per terra. Qualcuno cercava di aprire la porta! Dall’interno! Ettore, Ettore!
Riemergendo da sogni non piacevoli, Ettore Saponara accese la luce, cercò accanto a sé la moglie, poi la sentì strillare al piano di sotto, e si precipitò a soccorrerla.
– Ettore! – piangeva lei, ancora seduta. – Vuole uscire! Vuole uscire dalla stanza!
La porta era scossa, tempestata di pugni… o di sassate… no, sembravano proprio pugni…
– È chiusa a chiave, Agnese, non temere. Ed è robusta.
– La sfonderà, se continua così.
– Ma chi la sfonderà, chi?
– Carl… non so… Qualcuno o qualcosa lì dentro… Ettore, ho paura…
– Voglio proprio vedere.
– No, caro!
Ettore prese le chiavi e le introdusse nella toppa. Subito quel fragore che si era come aggrappato alla porta si interruppe. Anche Ettore allora si bloccò. Ancora qualche strattone residuo, e finalmente il rumore strisciante tornò ad allontanarsi lungo le pareti ad altezza d’uomo.
– Ora… ora entro.