Appena si prende in mano il libro di Mauro Orletti, Un metro lungo due metri (Exorma, pp. 260 euro 17), che pare dedicato (anzi lo è proprio) a Remo Gaspari, un importante politico democristiano della Prima Repubblica, può nascere una certa sorpresa (anzi più diffidenza, a dire il vero, qualora si scandagliasse l’inconscio alla ricerca del perché parlarne), benché da subito si capisca (anzi si sospetti) che l’intento principale dell’autore è quello di trascinare chi legge in un’avventura documentaria un po’ tragica e un po’ comica.
Potrebbe essere un nuovo genere letterario, non del tutto estraneo a qualche nota sentimentale, quello del funny-doc (che poi vista la storia di Orletti non sarebbe neppure una cosa tanto stramba, dato che in passato s’era occupato in chiave comica di cose religiose, di eresie e di reliquie in particolare per i titoli di Quodlibet-Compagnia Extra). Sarebbe bello poter dire, a questo punto, qualcosa come: «La storia di Remo Gaspari, il suo ruolo in sedici governi, i suoi dieci mandati parlamentari e la sua vita di militante della Dc sono ben noti a tutti»: peccato che non si possa dire, dato che la sua notorietà è scemata rapidamente benché per lunghissimi anni sia stato parte integrante di una complessa macchina del potere.
GASPARI AVEVA ATTINTO la sua influenza a livello nazionale da una significativa quantità di consensi che riscuoteva in Abruzzo, territorio al quale evidentemente la sua fama resta legata (Orletti è nato a Chieti) e nel quale restano i segni maggiori della sua azione politica, come l’autostrada che l’attraversa. Anche Remo attraversa la storia italiana, finendo quasi per assomigliare a un’autostrada almeno in questo: che è una cosa che sta lì, tanto indispensabile quanto invisibile, tanto banale quanto eccezionale.
IL MOTIVO per cui non pare il caso ora di ricostruire il profilo di Remo Gaspari (lo fa benissimo e a modo suo il libro) è legato al fatto che non sarebbe di alcuna utilità per poter dire qualcosa del romanzo. E neppure pare necessario stabilire fino a che punto le tante cose che vengono raccontate di questo personaggio corrispondano al vero o siano un po’ immaginate, diciamo pure inventate. Pare, infatti, che Orletti si diverta, e diverte anche molto chi legge, a costruire un altarino circondato da un certo ironico sentore di santità, pronto ad essere accompagnato con lodi e con incensi.
LA COSA DAVVERO BUFFA, però, è che sul baldacchino processionale si espone tutto: le buone azioni, le arguzie, le astuzie, le furberie, i colpi di testa, gli azzardi, le pazzie, le generosità (qualche volta a spese di altri) e anche le varie «porcate» (venivano chiamate così certi metodi politici dei democristiani) compiute per ottenere il consenso popolare; tenendo però presente che la missione del politico è proprio quella di rispondere alle aspettative di chi vota in generale e di chi lo vota in particolare. Comunque, la scena più bella e divertente del libro, capace anche di mostrare la sincera, vera e totale vocazione alla santità di Gaspari è forse quella in cui compare su un terrazzo in mutande a meditare il suicidio.
IL RISCHIO DEL SACRO tuttavia è controllato. E lo fa ben capire il titolo Un metro lungo due metri che, per quanto possa far pensare a quel miracolo con il quale Cristo moltiplicava e sfamava, e purtroppo bisogna dirlo fu un’esigenza non secondaria della politica del dopoguerra di cui un po’ in tutta Italia si approfittò, rimane irreversibilmente ambiguo quando lo si agganci a un altro pensiero, e cioè a quello dei giochi illusionistici che falsano proporzioni e grandezze e che qualche volta sembra si spingano verso la frode, vendendo due volte la stessa cosa.
Questa ambiguità forse tuttavia non è davvero intrinseca alle intenzioni e ai giudizi che costellano l’ispirazione politica di Remo Gaspari: potrebbe essere anche che, così com’è condizione necessaria di tante azioni comiche, l’ambiguità sia anche il frutto di un piacere della divagazione, forse quella stessa, antichissima, che praticava Sterne per aggirare l’oggetto narrato, per costringere il lettore a volgere lo sguardo o a torcere il collo o a dargli le spalle. Tutto il racconto è un insieme di divagazioni che permettono di spostarsi liberamente sia sull’asse temporale della vicenda di Gaspari sia su una grande varietà di argomenti e temi che hanno caratterizzato la storia italiana della prima Repubblica. Per questo il racconto non annoia mai, a parte l’umorismo che sprizza, perché s’è costretti a rincorrere una trama aperta, comunque chiarissima, con fili ben visibili che tuttavia ogni tanto scompaiono e poi riappaiono, ma quando non è tanto prevedibile.
ORA NON CREDIAMO si debba scambiare questo libro per una biografia, anche se è proprio della vita di Remo Gaspari che si parla, anche se pare costruito su un’accurata documentazione; va preso invece come una personaggiografia, che, va bene, è una cosa che non esiste, ma fa capire che si tratta di ricostruire una tipologia di comportamento e alla lunga pure un’etica (che poi sono quasi la stessa cosa). Ora il punto che va davvero sperimentato non è quale tipo di personaggio sia stato Remo Gaspari ma quanto chi legge ceda alle malizie del personaggio, cioè ne diventi in qualche modo succube, quanto cioè non riesca più a difendersi da un’eccessiva dose di indulgenza: cosa rispetto alla quale val sempre la pena di mettersi alla prova.