“Il mio progetto consiste nel creare, all’interno del Padiglione del Cile, una utopia in cui sono state abolite le vecchie gerarchie globali. È un invito poetico per indurre a ripensare il sistema dei padiglioni nazionali. Con “Venezia, Venezia” cerco di suggerire che l’attuale modello della Biennale è un fantasma che viene dal passato. Così, il Padiglione del Cile trasforma se stesso in un terreno concettuale di nuove possibilità, offrendo l’opportunità storica per una rinascita. […] Mettere in discussione il modello di Venezia significa riconoscere che viviamo in un mondo differente da quello del 19/mo secolo. In dialogo con l’incarnazione di una fantasia storica è poi la rappresentazione di un altro momento culturale: un lightbox sospeso del 1946 contiene la fotografia in bianco e nero di Lucio Fontana mentre visita il suo studio di Milano in rovina, dopo il suo ritorno dalla natia Argentina, alla fine della seconda guerra mondiale. Nel richiamare alla mente il passato, questa immagine fa scattare un flashback: riporta ad un mondo che emergeva dal disastro del conflitto, lo stesso che anche la cultura subì così severamente”.
Recensione a
di Lorenzo Fusi