Storie al margine

Il XVII secolo tra l'Adriatico e i Balcani

Sotto forma di racconti, questo libro restituisce umanità a quelle vite dimenticate, che nel Seicento, occupavano spazi gli marginali dell’Adriatico, dei Balcani e dell’intero Levante.

12,32 
Il libro in breve

Marginalità: è la condizione che accomuna l’Adriatico, i Balcani e l’intero Levante nel Seicento. Il potere sull’Europa e sul mondo non si decide più nelle acque del Mediterraneo e nelle sue città brulicanti e di umanità più o meno dolente.

L’egemonia del Nordeuropa e dell’Occidente appare ormai irreversibile. La dimensione un tempo superba di Venezia e dell’Impero Ottomano, i grandi attori del commercio e della guerra in Oriente, come anche quella dei loro comprimari, diviene marginale e si abbarbica a ciò che resta di grandi glorie irripetibili.

La Storia si ritira dalle rive dell’Adriatico e abbandona i campi dei Balcani; uomini e donne continuano tuttavia a vivere e morire su quel mare e in quelle terre, perpetuano antichi rituali, servono simboli decaduti, in un contesto sempre più spietato.

I documenti dell’epoca svelano i luoghi delle loro esistenze, raccontano la loro avventura.

Anteprima

La fama vola, si dice, sopra i deserti; ma vola anche sul mare e nei porti, si insinua negli sguardi cattivi dei turchi e nei lazzi feroci dei castelnovesi, e non ha impiegato molto a raggiungerci, gettandoci nello sconforto più nero, piegandoci le gambe, spingendoci al pianto e alla bestemmia. Abbiamo bestemmiato amaramente la nostra Signora, la Madonna dello Scarpello che guarda Perasto dal suo santuario, proprio davanti alla città: come ha potuto guardare senza intervenire? Come ha potuto lasciare che tredici galeotte di Tunisi e Algeri, guidate di certo dall’abiezione e dalla viltà di qualche castelnovese, vomitassero i loro giannizzeri nelle nostre case, tra le nostre torri impotenti e cieche, per rapire donne e bambini? Di quali peccati si erano macchiati i nostri figli e le nostre mogli, per meritare un tale destino (quanti ne saranno già morti, di paura o di altrui ferocia, in terra straniera e sconsacrata o sul mare che non ha rimorsi?)?

Su quasi trent’anni di schiavitù non c’è molto da dire. Ho cambiato padrone un paio di volte, spesso mi hanno allettato per farmi accettare l’Islam, più spesso mi hanno picchiato. Niente di insolito. A volte mi hanno chiesto delle Curzolari; gli unici con cui ne ho parlato senza odio sono coloro che avevano combattuto come me, anche se dall’altra parte, e avevano visto troppo sangue per mantenere ancora ferma la volontà di odiare. Per il resto, sui tempi della schiavitù non ho niente da dire; o meglio, c’è troppo da dire, su tanta parte della mia vita, per poterne trarre un giudizio breve e privo di contraddizioni. C’è stato di tutto, in realtà: giornate dolci e giornate intollerabili, momenti in cui mi sono sentito felice e altri di angoscia assoluta e di paura; l’unica differenza con la libertà, tuttavia, è che da schiavo è più evidente che non sei tu a decidere quando quei momenti devono presentarsi e poi scambiarsi tra loro.