Giuseppe Gigli
e la pittura ritrovata
Quanto pretende la pittura, non altro ma proprio la pittura, a chi guarda? La pittura, animale più volte sull’orlo dell’estinzione, un modo singolare di pensare e di fare, questo mestiere del pigmento in cima a un pelo. Davanti a me c’è il tempo contenuto dell’opera e il tempo istantaneo della percezione. Il tempo sospeso del dipingere e il tempo solidale della rivelazione. Il tempo inondato, catturato, estorto, assorto, realizzato. La sopravvivenza della pittura. E non c’è dubbio che Gigli dipinge. Con pennelli sottilissimi sparge briciole alchemiche. Particelle materiche riflettenti, selettivamente disposte, armonicamente e musicalmente aggrumate a tirar fuori scene potenti dall’immaginario. (dalla prefazione di Orfeo Pagnani)
Prefazione di Orfeo Pagnani
Testi critici di Laura Coppa
Giuseppe Gigli svolge un percorso inverso all’abtrahere (astrarre). Egli parte da una forma scarnificata e ridotta a concetto di fondo per tornare ad aggiungere sagome, dettagli e materia reale, fino al colore dato sotto forma di punti che stabilisce una lucida verosimiglianza dell’opera con l’immagine percepita dall’occhio. Una distanza abissale fra le opere, per così dire, giovanili e della maturità. Una consapevolezza artistica a cui la preparazione e l’operare per anni come restauratore specializzato nella pittura rinascimentale e barocca non può non aver influito su più fronti. Se da un lato, l’avere a che fare con tele dei pitttori d’oltralpe abituano la vista di Giuseppe a una determinata “qualità” dell’immagine pittorica, dall’altro, il lavoro svolto con pennelli finissimi e punte spesse quanto spilli lo conducono a un lavoro “mastodontico” racchiuso in una piccola porzione di tela. Dettagli di un’opera realizzati con piccoli colpi di colori sovrapposti e ravvicinati che, nella visione d’insieme, restituiscono quel senso reale di vibrazione della luce, di ombre colorate e di porzioni completamente buie. Le stesse pennellate sono piccole opere a sé stanti.