Sudeste

Pubblicato per la prima volta in Italia (con la splendida traduzione di Marino Magliani), Sudeste è considerato uno dei romanzi più singolari della narrativa argentina contemporanea (premio Fabril).

Sudeste è il vento che scuote la foce del fiume Paraná e la direzione da cui soffia quel vento solleva e spinge il mare nel Delta. Ma la foce del Paraná non è tanto il riferimento a un luogo definito, bensì il centro dell’universo che l’autore ci vuole narrare.

Haroldo Conti, poco conosciuto in Italia, fu considerato da Gabriel García Márquez il miglior narratore della sua generazione.

14,15 
Il libro in breve

Il Boga, un tagliatore di giunchi con gli «occhi da pesce moribondo», che conduce una vita sedentaria e monotona, decide dopo la morte del Viejo di avventurarsi sul fiume con una piccola barca sgangherata. Sono l’acqua, il vento, l’andirivieni tra i canneti a scandire le stagioni; il suo vagare silenzioso e solitario lo porta a sentire «quella specie di rumore che nasce nei luoghi da lungo tempo disabitati» e a scoprire un’umanità remota e sospesa. Il fiume «a conti fatti, sembra diabolicamente astuto e torvo, e perfino crudele», una specie di demone arbitrario che governa i destini di esseri duri e taciturni che vivono pescando e raccogliendo giunchi. Gente che mangia gallette rafferme e pesce che sa di fango e ama più i cani che gli uomini.

Il Boga giorno dopo giorno perde interesse per qualsiasi altra cosa che non sia questo vagare seguendo i suoi pesci. Quello che accade sembra niente ma è il tutto, il dipanarsi di una vita: fatti minimi che riempiono i giorni e incontri violenti con personaggi oscuri in mezzo a isole dal profilo illusorio, sopra un fiume che somiglia all’eternità. «Se ne stava lì, schiacciato contro il tavolato, ansimando. Mise la mano destra sul braccio ferito e sentì che si inumidiva, e poi vide il sangue, denso e scuro […]».

Anteprima

Il fiume è molto grande, e uno non può sapere tutto quel che fa il fiume. Dunque, in quel pomeriggio era apparso un tizio che somigliava al Cabecita e magari poteva essere davvero il Cabecita. Solo che la faccenda veniva a complicarsi un po’, perché era difficile tirar fuori qualcosa da un imbecille come questo, che non faceva altro che sorridere, e se ne stava lì, e non c’era modo di sapere con certezza se era lui, vivo, morto o resuscitato, o se era qualcun altro in una di queste tre condizioni.

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