Nannetti. La polvere delle parole
Questa è la storia del più noto recluso del manicomio di Volterra e del suo libro di pietra.
Paolo Miorandi visita più volte i padiglioni abbandonati dell’Ospedale Psichiatrico, raccogliendo i frammenti con cui ricostruire la vicenda di Oreste Fernando Nannetti. Torna infine a Volterra, assieme al fotografo Francesco Pernigo, per documentare ciò che resta e farsi interprete della straziante banalità dell’istituzione manicomiale e del lavoro compiuto dal tempo, sulle parole di Nannetti e sui volti e i ricordi delle persone, in un luogo sempre più eroso dall’abbandono.
Oreste Fernando Nannetti «era una di quelle cose per cui non c’è posto al mondo», uno tra le migliaia di uomini e donne senza voce internati nell’istituto psichiatrico. Aldo Trafeli, che al manicomio lavora come infermiere, si accorge che giorno dopo giorno Nannetti sta trasformando il muro del padiglione Ferri in un immenso libro. Incide con la fibbia del panciotto parole a prima vista indecifrabili e disegni. Aldo è il solo che presta attenzione alla sua voce, poi nel corso degli anni copia e trascrive il graffito, mentre il muro a poco a poco si sbriciola e le parole tornano a essere polvere, pagine strappate da un quaderno di sabbia e calce.
Le storie vengono, rimangono per un po’ e se ne vanno; è una fortuna che come uccelli migratori volino via, verso sponde che non vediamo e che spesso non riusciamo nemmeno a immaginare; di tanto in tanto vanno a posarsi sulle pagine dei libri.
In fondo scrivere assomiglia al cercare un posto dove posare cose ingombranti, in depositi che non stiano necessariamente dentro la nostra testa, che, come si sa, per funzionare ha bisogno di essere leggera e non troppo stipata di cose. Accadde come con i magazzini alla periferia delle città che la gente affitta per metterci dentro quello che non ci sta in casa o che semplicemente non vuole avere più sotto gli occhi.
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conosciuto? sì lʼho conosciuto, per come era possibile conoscere uno come il Nannetti; ne sono passati di anni, adesso non ci vengo quasi più, è come se questo posto mi mettesse paura, anche se paura non è la parola corretta, ha visto com’è ridotto? lasciato andare in rovina, le racconto volentieri quello che so, no, non si preoccupi, il tempo non mi manca…