La giusta quantità di dolore
Un reportage narrativo che racconta il sistema penitenziario italiano nel presente e ne ipotizza il futuro prossimo. Un libro che interroga non soltanto il carcere ma anche la collettività che lo circonda.
La voce narrante esplora lo spazio e il tempo della reclusione, entra nelle carceri, dà la parola ai “personaggi” di un mondo a parte, che ha regole precise (scritte e non scritte), ruoli e gerarchie e, infine, un proprio linguaggio. In cinque “quadri” affronta temi fondamentali: la prospettiva degli operatori della “riabilitazione”; la sfida tra architettura e mera edilizia penitenziaria; teatro, arte, cultura in carcere; la salute e il carcere come pena corporale; la riforma penitenziaria.
Immaginiamo un sistema che, mentre ragiona su di sé, prova imbarazzo e disagio per i danni che si producono e per le patologie che si alimentano. Sembra che l’attività principale del sistema penitenziario sia quella di nascondersi. Occultamento, rimozione, separazione escludono il carcere e i carcerati dallo sguardo di chi è fuori: dunque, dall’opinione pubblica e dalla stessa dialettica democratica.
Giada Ceri si occupa da tempo dei temi che riguardano il carcere italiano contemporaneo e ha lavorato lungamente in progetti del Terzo settore in ambito penitenziario. Nel libro procede con passione ma anche con lucida e amara ironia, a partire da ragioni molto concrete e dati verificati, e ci scorta in uno dei molti territori del disagio, individuale e collettivo. Disegna in modo critico e chiarissimo l’universo recluso: si inoltra nel mondo degli operatori della “riabilitazione”; esplora i luoghi fisici della pena trovandosi davanti alla scelta incompiuta fra architettura e mera edilizia penitenziaria; assiste alla messa in scena di Romeo e Giulietta della Compagnia della Fortezza a Volterra, che diventa la lente per indagare una precisa idea di teatro-in-carcere; nel capitolo Dentro l’Uroboro narra il corpo detenuto, il carcere come pena corporale, l’eterno ritorno al punto di partenza, in un mondo che resta ancorato a un’idea di sicurezza per sua natura inconciliabile con quella di salute; e completano questo viaggio nei luoghi della pena le vicissitudini della recente riforma penitenziaria a partire dagli Stati Generali dell’Esecuzione Penale conclusi nel 2016, in attesa di nuovi tentativi e forse di nuovi fallimenti.
Il susseguirsi di storie, racconti, frammenti di vita carceraria costituiscono un mosaico illuminante e, a tratti, toccante. […] il libro di Giada Ceri riesce a rendere bene le diverse dimensioni dell’universo detentivo e a offrire al lettore non esperto una conoscenza, anche emotiva, di una realtà assai problematica. (dalla prefazione di Luigi Manconi)
La voce di là dalle spesse mura del Mastio non mi ha ancora raggiunto, mentre parcheggio a poche centinaia di metri dalla Fortezza che incombe su Volterra dal colle più alto. A vederla sembra un castello in attesa dei turisti; invece da cinque secoli è una galera. Casa di alta sicurezza, nella lingua della legge.
Alla fine del Quattrocento ci finivano gli oppositori dei Medici, nell’Ottocento gli anarchici, oggi i detenuti con sentenza di condanna definitiva e pene lunghe fino all’ergastolo. Qualcuno lo chiama carcere dei miracoli: il gioiello del sistema penitenziario italiano. E beato chi ha un occhio, nel paese dei ciechi.
Spengo il motore, scendo dall’auto, mi avvio verso l’ingresso sul selciato in leggera salita. Il sole è alto – sono appena le due di un pomeriggio alla fine di luglio – eppure non scalda. Entrando nel gioiello rabbrividisco. Le mura della Fortezza sono larghe alcune braccia, e dunque: poca aria e poca luce. La chiamavano il Marcitoio.