Palestina nonostante
Viaggio in Cisgiordania
Prima del 7 ottobre 2023 come era la vita dei Palestinesi nei Territori occupati?
Ce lo racconta Emanuela Crosetti in un lungo viaggio in Cisgiordania, seguendo le tappe di Jenin e Gerusalemme, Ramallah e Nablus, Jericho e Al-Khalil, Betlemme e oltre.
Entriamo nelle loro case, nella vita quotidiana e, tra città e villaggi sperduti, scopriamo persone animate dalla volontà di condurre una vita normale come forma di resistenza nonviolenta all’occupazione israeliana. Sono uomini e donne alle prese con le costanti restrizioni, con i muri di separazione, la chiusura delle strade, la sottrazione delle terre, le difficoltà di accesso ai servizi medici e alle risorse idriche, gli innumerevoli ostacoli alle attività economiche, le retate frequenti e gli arresti indiscriminati.
Oggi, saranno ancora in grado i Palestinesi di non cedere all’odio o al contrario di non sprofondare nel pozzo della rassegnazione? Saranno capaci di continuare a coltivare uno stile di vita attivo e nonviolento, in una parola il sumud?
Di fronte alla semplificazione delle opposte visioni del mondo scatenata dalla guerra di Gaza ci sorprenderà lo spirito che anima questo viaggio, al riparo dalla retorica.
Conosco un solo modo di viaggiare: leggera, senza aspettative né opinioni, al riparo dalla retorica, libera dai lacci del pregiudizio.
JENIN – UN GIORNO NELLA VITA
Avere un buon udito, a Jenin, è una maledizione. Ma soltanto quando c’è il mercato e se si ha una lunga lista di oggetti da acquistare. Vi racconto perché.
Jenin non è una città ma un immenso campo profughi, o perlomeno un campo profughi diventato ormai una città, dove hanno trovato dimora nei decenni tutte le persone che sono dovute fuggire a causa dell’occupazione israeliana. Sono scappate via in cerca di una tregua, ma invano: continuano le incursioni dell’esercito sionista a spazzare la città nell’ansia di arrestare giovani rivoltosi dalla miccia corta e di stanare presunti terroristi nascosti chissaddove. Se così non fosse, non avrebbe ragion d’essere l’esilarante interrogatorio che ho dovuto digerire al checkpoint più a nord, in uscita dalla Palestina verso Israele. Protagonista una corpulenta donna in divisa militare, sovrabbondante anche nel rigor patrio.
“E lei da dove viene?”.
“Io? Da Jenin”.
“Come mai è stata a Jenin?”.
“Perché arrivavo da Nablus”.
“E cosa è andata a fare a Nablus?”.
“Ci sono passata perché provenivo da Ramallah”.
“E perché si trovava a Ramallah?”.
“Perché prima ero ad Al-Khalil”.
“Ah sì?”.
“Già…”.
“E cosa ci faceva lì?”.
“Ero scesa da Betlemme”.
“E come ha fatto a entrare in Palestina?”.
“Da Gerusalemme”.
“Con che mezzo?”.
“Con quest’auto”.
“Che auto è?”.
“Lo può vedere da lei”.
“Io non vedo proprio nulla”.
“È una Kia Picanto”.
“E come ci è arrivata a Gerusalemme?”.
“Da Tel Aviv”.
“E prima?”.
“Ero a casa, e a questo punto avrei dovuto rimanerci”.
Tra tutte le risposte che le ho fornito credo che quest’ultima sia stata quella che le è andata più di traverso. Ha quindi fatto sparire il mio passaporto nel taschino sinistro della casacca e, con la massima scortesia possibile, mi ha invitato a parcheggiare a lato della barriera, lasciandomi in attesa a bollire sotto il sole per quasi un’ora.
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