Viaggetti in Emilia
Fuori rotta dall'appennino al Po
Si parte dalla Val Trebbia, da nord, con l’idea di oscillare tra l’appennino e il Po percorrendo strade periferiche. Ci si allontana dalla Via Emilia cercando un diverso baricentro: da una parte “sotto la strada”, il mondo che sale verso l’appennino, dall’altra “sopra la strada”, quello della pianura che dilaga verso il grande fiume.
La geografia dei corsi d’acqua e delle valli ci guida alla ricerca dell’osteria perduta, piacevolmente trascinati da un’onda anomala di luoghi, persone comuni e personaggi noti, scrittori, poeti, trattorie, cibi, libri, vini, film, canzoni, montagne, fiumi…
Percorsi, paesaggi, indicazioni utili per percorrere l’Emilia, terra ricchissima, vivace e accogliente, e poi Bobbio, Marco Bellocchio, Milena Gabanelli, Salsomaggiore, Demetrio Stratos, Berceto e Luigi Malerba, Trattoria Carra, Giovanni Lindo Ferretti, Casa Cervi, Cesare Zavattini e Paul Strand a Luzzara, Il Mulino del Po, Giovannino Guareschi, Trattoria Cantarelli, Silvio D’Arzo, Pier Vittorio Tondelli, Antonio Ligabue e Gualtieri, Johnny La Rosa e i bluesmen di Reggio “come se il Po fosse il Mississippi”, Luigi Ghirri, Scandiano e le radio indipendenti, Vinicio Capossela, Zucchero, il vitigno Spergola, la Lanterna di Diogene, Liliana Cavani, Pierangelo Bertoli, Figurine Panini, Rosola e la vacca bianca modenese, Paolo Monelli, Francesco Guccini, Sèstola e Alberto Tomba, l’eccidio alle Fonderie Riunite di Modena, Marzabotto, Sasso Marconi, Antica Osteria del Mirasole, Ponte di barche di Gorino, Comacchio, Torre Abate e il bosco di Mesola, e poi ancora tanto altro.
Un pomeriggio di novembre Maurizio era piombato nel mio ufficio con una grande idea da sottopormi. Comme d’habitude, varcata la soglia era sprofondato sulla poltrona, unico conforto del mio modesto pensatoio e, dopo una pausa messa lì ad arte, aveva esordito con “Dobbiamo fare un libro sull’Emilia”. Un secondo prima che potessi rispondergli “Emilia, chi?”, aveva puntualizzato che ci saremmo dovuti occupare solo dell’Emilia e non della Romagna.
L’ultima volta che lo avevo sentito parlare di quella regione, eravamo ancora al liceo e mi stava raccontando una barzelletta goliardica su un cinese all’aeroporto di Bologna.
Avevo ascoltato senza battere ciglio il Mau sciorinare l’elenco delle mitiche trattorie che immancabilmente avremmo trovato lungo la strada.
Su due piedi avrei voluto declinare l’invito dicendogli che viaggiare al giorno d’oggi è sopravvalutato, conclusione alla quale ero giunto durante le lunghe settimane di reclusione forzata a causa della pandemia. Al pari di François-Xavier de Maistre, il fato mi aveva obbligato a vivere recluso nella mia stanza e avevo trovato una via di fuga visitando virtualmente decine di musei sparsi per il mondo e saccheggiando impunemente numerose biblioteche on line.
Mentre Maurizio, irrimediabilmente affetto da dromomania, vagava perennemente alla ricerca del suo posto nel mondo, io, che da giovane sognavo di trasferirmi in Polinesia, con l’andar del tempo avevo imparato che la Polinesia è casa mia. Più in generale avevo formulato una teoria: se è vero che pure un orologio rotto segna l’ora esatta due volte al giorno, anche il mio scialbo borgo natio a metà della costa Adriatica poteva incarnare un altrove dove rifugiarsi; l’unica cosa da fare era stare con gli occhi ben aperti in quei due magici istanti quotidiani. In altre parole avevo accorciato ulteriormente il già ridottissimo raggio del mio nomadismo che adesso corrispondeva a circa cinque chilometri da casa, la lunghezza delle mie piacevoli passeggiate antelucane o vespertine.
Felice come Patrick Leigh Fermor a Kardamyli, sperimentavo la mia personalissima ricetta: agli antipodi dell’Alternativa nomade di Bruce Chatwin, mi facevo beffe di Paul Theroux e dei suoi lunghissimi vagabondaggi attraverso i continenti. Ogni mia attività quotidiana, scandita da una disciplina autoimposta, era programmata, pregustata, assaporata con lentezza e meditata a posteriori. In altre parole ero riuscito a frapporre tra me e il mondo una porta che aprivo solo quando ne avevo voglia.
Pertanto, forte era stato il desiderio di rispondere al mio contubernale che non avevo alcuna intenzione di rimettermi sulla strada: viaggiavo già abbastanza con la fantasia e non sarebbe stato di certo un piatto di tortellini a smuovermi. Però, pensandoci bene, strada facendo avrei potuto prendere appunti per realizzare una guida sull’Appennino Tosco-Emiliano.
Ecco che l’arte di stilare baedeker mi soggiogava ancora una volta. Guida dopo guida, mi stavo inconsapevolmente trasformando in Macon Leary, il protagonista di Turista per caso, il quale tanto detestava viaggiare, quanto gli piaceva scrivere: le virtuose delizie di organizzare un paese disorganizzato, spogliandolo dell’inessenziale e di tutto ciò che è di serie B, e procedendo poi a classificare quanto rimaneva in paragrafi puliti, tersi. Nei cassetti non accumulavo sogni ma taccuini pieni zeppi di arditi itinerari destinati a uno sparuto manipolo di happy few, interessati come me a raggiungere fantastici nessun-dove. Tali percorsi, tappa dopo tappa, giungevano sempre al cospetto di qualcosa che, come asserivano una volta le Guides Bleus, il vaut vraiment le détour. In pratica, se proprio mi convincevo a partire, era per recarmi in quei luoghi anticonvenzionali dove non si va quasi mai.
Avevo agito d’astuzia mostrando comunque un interesse fasullo quanto una moneta da 3 euro ma tanto era bastato al mio amico, già preda del delirio che solo una nuova partenza infonde nel vero viaggiatore.
Si fa presto a dire Emilia: ci era voluto molto tempo per capire come affrontare questo territorio pieno zeppo di tutto. Avevamo compreso quasi subito che non potevamo raccontare le città e che anzi dovevamo il più possibile allontanarci dalla Via Emilia, cercando un diverso baricentro.
Ancora non immaginavo che ci sarebbero voluti molti giorni su e giù per le ubertose valli di questo microcosmo ricco di montagne ma anche un’infinità di cappelletti in brodo e un non precisato numero di bottiglie di Lambrusco.
Sapevo bene che sarei partito carico di dubbi e costantemente afflitto dall’urgente necessità di tornare a casa al più presto ma non potevo sapere che questo viaggio sarebbe servito a convincermi che, nonostante Google Maps e Wikipedia, viaggiare aveva ancora un senso, l’importante era scegliere con cura la meta e stare in giro più tempo del dovuto.
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