Con una messa in scena dal fragrante sapore buzzatiano, Malaguti accorda gli strumenti e le voci dei suoi personaggi alle sonorità nord europee. Sulla pagina Marz, Gebick, Vankoskij e gli altri si offrono al lettore prima come suono poi come immagine, alternandosi in capitoli polifonici di urla e pensieri, di chiacchiericcio affacciato al balcone, di sentito dire, di dissertazioni colte, di proclami allarmati, di invocazioni e preghiere.
Oltre le parole, le voci. Un libro di suoni.
All’inizio è un grido: senza nome, senza possesso, senza destinazione. Un grido che precede il tuono: lo anticipa e ne fa le veci, un colpo roboante di tamburo esploso nel pomeriggio. Percussioni naturali cui fa da contrappunto lo “zum zum metallico” della banda cittadina, nella reminiscenza sonora di un passato che ritorna…
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Recensione a
di Leonardo Malaguti