“E mi viene subito in mente un “dopo la tempesta” che chiama “la quiete” di una campagna al suo risveglio, che riprende il suo ritmo lento fatto di gesti e consuetudini, per scivolare in una riflessione sul piacere e sulla cessazione del dolore.
Ma questo “dopo” è poco poetico anzi, non lo è affatto: non c’è niente di quella quiete. L’entusiasmo del paese che riprende a vivere dopo il diluvio è spazzato via dal funerale di un bambino che però non può essere celebrato perché manca il pastore.
Il motivo? È al bordello. E siamo ancora a pagina 34″.
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Recensione a
di Leonardo Malaguti