“Un universo fantasmagorico, altro che tristezza! A pensarci bene, l.d.c.p.d.e.t. quasi mai sembra essere veramente triste: sembra piuttosto che alla tristezza lei ci tenga molto, sembra che voglia coltivarla in se stessa e nel suo mondo. Questo è detto chiaramente fin dalla prima pagina: “Quando pensava di essere triste la donna si rendeva conto di essere più amabile, dolcemente disponibile verso ciò che la circondava, perciò pensava che la tristezza le facesse bene”. E il libro si conclude con il pomposo elogio pronunciato dal monumento inaugurando il museo della tristezza: “la tristezza ci rende migliori, più calmi e riflessivi, meno propensi ad atti irresponsabili” (p. 144).
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Recensione a
di Marita Bartolazzi