«[…] Il nobile genere del reportage, ibridato con il gusto di collocare le opere nei loro luoghi geografici, sembra essere la chiave del viaggio moscovita di Sparajurij. Ma c’è di più. Si tratta del referto di un lungo percorso nella letteratura russa di ieri e di oggi (e forse di domani) in cui, però, l’aspetto del viaggio, dello “spiazzamento” geografico, non è un semplice pretesto, ma parte integrante di un’operazione a più livelli, tanto temporali quanto spaziali e certamente letterari. La poesia e i suoi luoghi sono condannati a un legame infinito, soprattutto se quei luoghi sono parte dell’opera, contesto indispensabile alla comprensione del testo.
Nasce così un’operazione di mise en abyme: si viaggia nei luoghi che sono quelli che fanno da scenografia alle parole dei poeti e dei romanzieri. Si cerca traccia di ciò che ha lasciato traccia, ma sempre la ricerca delle parole rimbalza verso il reale. Puntualmente l’appuntamento è mancato: la letteratura sta sempre di lato alla realtà, in un tempo sospeso che appartiene ormai soltanto all’immaginazione. Come sempre la realtà dà scacco alle parole, a quelle delle poesie come a quelle dei romanzi. Ma è solo grazie a questo scacco (che fa sì che il tram numero A sia chiamato comunemente Annuska, ma che questo non abbia nulla a che fare con il celeberrimo inizio del Maestro e Margherita di Bulgakov, né con la testa mozzata di Berlioz) che il presente può nascere con tutta la sua forza, la forza dei tanti nuovi poeti moscoviti ritratti in questo falso reportage che è poi una lunga, profonda riflessione su come la poesia possa percorrere i luoghi e trasformarli. Di come la poesia sia attraversamento, cioè viaggio».
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