L’Egitto ha una nuova legge sul parlamento. Manca solo la firma del presidente al-Sisi ma è un proforma: il Consiglio di stato ha scritto la norma sotto sua dettatura. Si dovrebbe votare a cominciare da marzo, in varie riprese. Anche questo è irrilevante: la nuova legge rende impossibile una già ipotetica vittoria delle opposizioni laiche o religiose al governo dei militari.
Stabilendo che 420 deputati su 567, i due terzi, devono essere “indipendenti”, e che solo 120 saranno indicati dai partiti, il parlamentarismo egiziano muore prima di nascere. È un ritorno teatrale all’Egitto di Mubarak: i deputati “indipendenti” saranno cooptati dal regime tra gli uomini d’affari, i militari e i sopravvissuti del passato. Saranno tutti obbedienti deputati al servizio di Abdel Fattah al-Sisi. Cioè della patria, della giustizia e della verità.
L’Egitto sta scivolando sempre più in quello che Giuseppe Acconcia definisce nel titolo del suo libro “Democrazia militare” (Exorma, Roma 2014), forse con troppa indulgenza: nel senso che di democrazia ne è rimasta molto poca in un Paese ormai militarizzato nelle strade, nelle istituzioni e nelle menti. Ma non è solo un caso egiziano. Perfino nella moderata Tunisia il nuovo presidente potrebbe essere un uomo del passato remoto: non un sodale dell’ultimo dittatore Ben Ali ma addirittura del “combattant supreme” Bourghiba.
Tuttavia il grande organizzatore di questo Termidoro – la similitudine con la rivoluzione francese è di Frederic Wehrey del Carnegie – è l’Arabia Saudita, seguita dagli altri Paesi del Golfo. Il Termidoro fu la reazione in parte moderata, in parte estrema agli eccessi del Terrore rivoluzionario di Robespierre. […]