La frontiera spaesata

Un viaggio alle porte dei Balcani

Con il ritmo del giornale di bordo, Giuseppe A. Samonà ci accompagna su una frontiera che non è una linea ma uno spazio disteso, fluido, dai contorni sfumati, in cui coabitano e si mescolano genti, lingue e culture. Una frontiera spaesata appunto, nel senso di un paese che non è un paese ma molti paesi. Una frontiera insomma che non si lascia afferrare, che si sposta sempre.

15,20 
Il libro in breve

Si parla molto di letteratura, di Storia e storie che sono indispensabili alla comprensione dei luoghi. Un percorso esplorato insieme agli scrittori e ai poeti di queste terre e che l’autore annota e disegna su tovagliette di carta: una sorta di mappa potenziale in cui cercare pezzi di itinerari che ognuno potrebbe comporre a modo suo; preziosa per chi volesse mettersi in cammino da Trieste, verso est e verso sud-est, lungo la costa dell’Istria o penetrando l’interno della Slovenia e della Croazia, verso il cuore dei Balcani.

Anteprima

Di tappa in tappa, varcando una porta dopo l’altra – a ogni porta ti dici: ora ci siamo… – prova a chiedere dove si trovino, questi inafferrabili Balcani, il più delle volte ti risponderanno semplicemente indicando in direzione del paese, della porta seguente…

Sì, più vai avanti più la testa si gira all’indietro, dettagli trascurati acquistano una nuova importanza, e torni sull’inesauribile storia di queste terre – la Storia è sempre inesauribile, ma la prospettiva via via si fa salda – e ogni volta ti sembra di capirne un pezzettino di più.

Dapprima ti è venuta incontro l’ossessione dell’autoctonia, l’idea che una terra appartenga agli uni o agli altri, esclusivamente, e che questo diritto debba esser sancito da un mitologico esser nato in loco, o comunque essere arrivati prima. Purezza: Trieste o Trst? Ora t’interroga l’ossessione del confine, l’idea che esistano, o si possano tracciare, linee che separino perfettamente. E l’una e l’altra ossessione qui si manifestano per inevitabilmente esplodere, svelandosi come illusioni, costruzioni ingannevoli – la purezza, il confine, la frontiera… Anzi, le frontiere. Perché al di là dei popoli Trieste e l’Istria interrogano, rimettono in questione, anche molte frontiere cosiddette naturali: per esempio quella fra matti e normali (Basaglia, ricordi? Da vicino nessuno è normale…); o persino quella fra i generi, frutto anch’essa di una natura in buona parte inventata dagli uomini, e quindi almeno in parte infinitamente reinventabile. E se anche in quanto uomini e donne fossimo, proprio come i luoghi in cui stai viaggiando, costantemente in bilico?

Il bilico, la sospensione, è in ogni caso quel che si respira in Trieste and the Meaning of Nowhere (in italiano tradotto come: O del nessun luogo), della storica e scrittrice Jan Morris: conobbe la città ventenne da soldato, nel 1945, quando era ancora James, e ne rimase catturata; così continuò a conoscerla e riconoscerla attraverso tutta la sua vita, prima e dopo la sua transizione da James a Jan, all’inizio degli anni Settanta, per poi scriverci sopra all’inizio dei Duemila. Anywhere out of the world scriveva Baudelaire per raccontare il bisogno dell’uomo di sottrarsi al dolore raggiungendo un luogo che sia… fuori dal mondo: ecco, quel luogo lo ritrovi positivamente, come se veramente esistesse, in molte pagine di questo libro. Aggiungilo alla tua lista di letture: anche se l’autrice sembra meno sensibile al fascino dell’Istria, quell’atmosfera è trasportabile anche qui – e poche ma utilmente spaesanti righe parlano anche di Pola.