La qualità più evidente è proprio nel mescolarsi di tragedia e commedia, e i momenti più alti risiedono in questo sguardo capace di restare lucido, autenticamente ironico: “Stavamo uno di fronte all’altra sui sedili di marmo, lei si metteva in piedi e non si perdeva una virgola, d’aspetto era la capa malandrina mondiale. Però la vedevo spesso che si raggrinziva tutta, si stringeva, s’alzava sulle zampe e rizzava il pelo, come in preda a un dolore o paura, che io in un grumo di lucidità pensavo è la chiacchiera continua che faccio, invece a un certo punto ho capito che c’erano delle presenze, come dei mulinelli d’aria gelata, vecchi fantasmi giravano in quel chiostro e ora li avevo disturbati nella quiete si vede, se ne andavano a frotte, uno a un certo punto m’è sembrato che mi strattonava addirittura. Parlavo pure a loro, mentre traslocavano”. Sono i fantasmi, a ben vedere, gli attori principali di questa esilarante compagnia della disgrazia, verrebbe da dire.
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