Quando un lettore arriva all’ultima pagina di Infamia non può fare a meno di porsi domande inquietanti. Che la letteratura sia specchio dei tempi e ne sia la migliore interprete è comunemente riconosciuto, ma viene da riflettere sul ruolo che essa può avere nella nostra vita, e arriviamo a chiederci se l’intellettuale non sia talvolta troppo isolato dal reale.
Il protagonista del romanzo di Ana Maria Machado, “una delle scrittrici più interessanti del panorama letterario brasiliano contemporaneo”, è l’ambasciatore in pensione Manuel Serafin Soares de Vilhena, che è vissuto di letteratura tanto da sentirsi parte delle storie narrate, tanto da voler essere un intruso alla ricerca di dettagli anche oltre il narrato, per scoprire verità e menzogna. È vissuto tra le parole. Ma ora si rende conto dolorosamente, a proprie spese e troppo tardi, di essersi esiliato dal reale per fare l’intruso nell’immaginario. Troppo concentrato su se stesso, ha sprecato l’intelligenza che gli è stata data senza essere stato capace di ascoltare e vedere le difficoltà e le sofferenze della figlia, vittima di macchinazioni del marito Xavier, stimato e astuto diplomatico, per cui lei è arrivata a una morte sospetta. Ora nemmeno il ricordo serve a rimediare a errori, superficialità, cecità.