12/02/2015

Massimo Roscia racconta “La strage dei congiuntivi”

letteratitudine.com - redazione

E niente…… La stragge dei congiuntivi – lo sò percerto avendolo scritto io – non è un manuale di grammatica o un saggio di linguistica (non ostante le migliore intenzione, non ne avessi avuto le giuste conpetenze), ma puo’ essere considerato, sic et simplicita, un romanzo, piuttosto che un noir, piuttosto che un giallo, piuttosto che un poliziesco. La storia ke ho immaginato e quà vi racconto, io credo che è propio semplice: Dionisio e altri quattro stravacanti personaggi (un’analista senzoriale, un bibbliotecario, un dattilo scopista della polizia e un prof di letteratura sospeso da l’insegnamento a tempo indeterminato) non c’è la fanno piu’ a sopportare i continui mal trattamenti a cui, avvolte, è sottoposta la lingua italiana e decideno di reaggire. E lo fanno in maniera importante, violenta, incredibbile, plateale, taumaturga, stringendo intorno a se i colpevoli in un’abbraccio mortale.

Ove non bastasse, ci sono gli stò e i , a brutalizzare la pagina. E i qual’è, con quell’apostrofo affilato e letale come la lama di un rasoio. E gli insopportabili assolutamente sì e assolutamente no, a rendere perentorie normalissime affermazioni o negazioni e a irritare la pelle più dei tricomi di una foglia di ortica. E i piuttosto che, usati impropriamente con valore disgiuntivo, a riempire di una farcia insapore discorsi altrettanto insipidi, a sbertucciare la grammatica, a compromettere l’efficacia stessa della comunicazione ingenerando equivoci interpretativi, talvolta spiacevoli. E le reiterate mutilazioni della lettera h nel verbo avere. “Tutto è iniziato con quell’invito. «Sabato dodici maggio. Pascal e Sophie anno il piacere di salutare parenti e amici…». Sacrilegio. Avere, nobile verbo, generoso e caritatevole ausiliare, padre di tutti i tempi composti, ponte diacronico tra il passato e il futuro, reggente di molti intransitivi e di tutti i transitivi, signore delle locuzioni, dio giusto e misericordioso che, con quell’idea di possesso che solo lui sa esprimere, dà e toglie la vita. Anno. Quel verbo maltrattato impunemente, violentato, ferito nella sua dignità, denudato e deriso con l’ignobile sottrazione di un’acca, degradato a comune unità di misura del tempo”.

E poi ci sono le reggenze errate; le inversioni di singolari e plurali, maschili e femminili, maiuscole e minuscole; gli accenti confusi con gli apostrofi; i verbi intransitivi (come uscire) maldestramente trasformati in transitivi; gli impianti desinenziali fatti a brandelli; i crimini di guerra contro la versatile e indifesa virgola (Massimo, legge un libro o Massimo legge, un libro), il punto e virgola (non più usato per indicare uno stacco intermedio tra due proposizioni di un periodo, ma solo per rappresentare graficamente un occhiolino più o meno ammiccante) e i punti di sospensione (che da tre, a volte, diventano tredici e occupano abusivamente l’intera riga); le inutili sovrapproduzioni di avverbi e i fastidiosi diminutivi iperbolici (un attimino); i surrogati di parole che prendono a calci i nessi logici e le regole grammaticali; i neologismi al limite della blasfemia (attenzionare, efficientare, situazionare, le skills e l’apericena); gli inutili pleonasmi, le espressioni fruste, i luoghi comuni, le metafore trite e ritrite, i tic linguistici e le odi alla banalità; i per quanto e quant’altro scagliati come dardi avvelenati che fendono l’aria con le loro irritanti code inespresse e sospese nel nulla; le raffiche di senza se e senza ma che, al pari delle conversazioni ululate e delle raccapriccianti suonerie polifoniche dei cellulari, deturpano l’etere.

E poi c’è il congiuntivo, il caro estinto, il modo verbale della possibilità, del dubbio e dell’incertezza, che, per ignoranza, praticità, pigrizia, sicumera, abbiamo troppo disinvoltamente e sbrigativamente abbandonato soppiantandolo con il più elementare (e facile da usare) indicativo. Noi non crediamo, noi non pensiamo, noi sappiamo e basta. E il congiuntivo, a questo punto, non ci serve più, con buona pace della sua funzionalità, della sua eleganza, della sua nobiltà, della sua musicalità, della sua straordinaria potenza espressiva. E, infine, c’è la lingua italiana tutta che “la sconsiderata favella altera, cannibalizza, corrompe, avvelena, infanga, sfigura, strazia, tormenta, amputa, umilia, inquina, imbarbarisce, appesta, deturpa, abbatte, tortura, devasta, oscura, saccheggia, lacera, annichilisce”. I più si mostrano indifferenti all’inesorabile diffondersi della pandemia; altri si indignano, limitandosi a contrarre le labbra in segno di disgusto; altri ancora chinano il capo e si rassegnano all’ineluttabilità; io, invece, ho scritto un romanzo.

 

Recensione a

La strage dei congiuntivi

di Massimo Roscia

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8,49 


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