«Con questo libro ho cercato di portare alla luce la voce dei tunisini. La novità consiste nel materiale che è stato utilizzato, che non ha eguali: sono le voci della strada, scritte nella lingua del popolo e nel loro Paese. Le scritte sui muri come messaggi spontanei e che aprono un dibattito politico non ufficiale, ma appunto della strada. Il fatto che ci siano decine di scritte “il popolo vuole” o “i rivoluzionari dicono”, con tutto e il contrario di tutto, fa capire come i muri facciano parlare tutti; chiunque attraverso queste scritte ha parlato a nome del popolo e dei rivoluzionari. Inoltre, leggendo questi graffiti, molti dei cliché che ci sono in Europa sulla Tunisia o sulla rivoluzione vengono sfatati […] Ad esempio, il collettivo Zwewla afferma che la rivoluzione è dei poveri, mentre in Occidente si parla sempre di contrapposizione tra laici e islamisti. Oppure, contro i cliché della donna velata, lo stencil delle femministe anarchiche Feminism Attack: tre volti di donne senza tratti somatici, una con il niqab, l’altra con l’hijab e la terza senza velo con sotto la scritta “non mi classificare”. Poi diverse riflessioni che fanno pensare che la rivoluzione in realtà non si sia ancora compiuta, mentre all’estero è stata osannata».