«Nella memoria di chi ha allungato i propri passi sulle linee di confine, con nelle mani una macchina fotografica o un taccuino da riempire, rimane impressa soprattutto una presenza costante, quella del filo spinato, “voce narrante delle frontiere” che talvolta giace arrugginito e mescolato alla vegetazione, altre volte svetta luminoso e prepotente “nel luccichio di una recente installazione”. Oggetto reale, metallico, in grado di certificare una separazione, ma anche elemento per certi versi rimovibile, che non è in grado di perpetuare, in assoluto, indirizzi politici e filosofici. E questo dato di fatto viene bene espresso da Marco Truzzi, che nell’ultima pagina del suo saggio-reportage scrive: “Forse il filo spinato che abbiamo visto in giro continuerà a scrivere ancora altri capitoli della nostra storia. Ma è altrettanto vero che, prima o poi, dei ragazzi balleranno nuovamente sulle rovine di un muro caduto”».
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Recensione a
di Marco Truzzi