«L’antropologo Matteo Meschiari ci dimostra, con un libro bello e dolente – reportage atipico, fatto soprattutto con materiali trovati in rete – che lo scienziato sociale ha bisogno della letteratura, della capacità di immedesimazione nell’altro che essa implica […]. La lingua di Meschiari incrocia l’esuberanza espressiva di Manganelli con lo scrupolo documentario di Kapuscinski: è una lingua precisa ed evocativa, referenziale e lirica».