«Il fantastico è un’estensione del reale, non una sua dissoluzione (Domenico Calcaterra ha parlato di “realismo largo”, una formula in cui mi riconosco appieno). La mia idea di fantastico è tutto sommato modesta: nasce dall’osservazione di qualcosa di inatteso, di storto, nella quotidianità, e questo qualcosa tende a gonfiarsi, a moltiplicarsi, a sviluppare una personalità, a farsi folla. Non puoi crederci davvero, ma lo assecondi. Non stai nemmeno a chiederti che cosa possa significare, perché ogni spiegazione finirebbe per banalizzarne il mistero, per annacquarne la forza. Ecco, la montagna sembra essere l’ambiente ideale per lasciar crescere questo senso non risolvibile dell’insolito, del mistero, dell’incongruo, anche del minaccioso: perché in montagna tutto è instabile, le prospettive risultano ingannevoli, le distanze incalcolabili, le ombre nettissime, la provenienza dei suoni non determinabile, e tutto sembra tirarti verso il basso, verso il sotto, anche se stai salendo».
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