«Hai scritto nell’ultimo capitolo: “Sono convinto che la letteratura renda più acuto lo sguardo sulle cose, sul mondo e non sia accademia o arcadia”. Questo tuo libro ne è una riprova. Cattura il lettore e s’ingigantisce dentro di noi lasciando immagini incancellabili. Siamo entrati con Adelmo in un mondo sconosciuto che ora è nostro e Adelmo non è più solo, viviamo con lui e per lui.
Credo che davvero scrivere, per chi lo fa e per chi legge, sia come allungare lo sguardo verso qualcosa che forse trascureremmo, che è più in là, oppure è infinitamente grande o infinitamente piccolo. Un buon libro cambia sempre la prospettiva, avvicina ciò che è lontano e, costruendo anamorfosi, consente di osservare dettagli che altrimenti ci sfuggirebbero. In questo senso mi sento un realista, anche quando mi soffermo su realtà nuove o sconosciute o distorco quelle più familiari. Per me, l’ambiente alpino per come è cresciuto in questo libro è stata una rivelazione, soprattutto quando ho scoperto che alla fine, invece di una montagna in cui si sale, è venuta fuori una strana, paradossale montagna in cui si sprofonda. Questo lo può fare la letteratura ed è bellissimo».