«[…] Il fatto vero, verissimo, è che la mente umana è conformata per il dialogo. Piuttosto che tacere del tutto, cosa che la sua natura non contempla, la mente inventa monologhi. Ma poiché anche il monologo alla fine non le è congeniale, necessariamente si ingaggia in un dialogo, non importa come. Così Adelmo parla con tutto quello che lo circonda: neve, cose, animali, personaggi dei suoi ricordi, cadaveri. E alla fine, per il fatto stesso che li intende come interlocutori, ne percepisce le risposte.
La gente immagina che la montagna sotto la neve sia il regno del silenzio. Ma neve e ghiaccio sono creature rumorose, sfrontate, beffarde. (…) Là sotto, nella baita compressa dai metri di neve, tutto giunge attutito, ma giunge. E quel baccano che perdura anche di notte sembra modularsi come una partitura di voci. (…)
– Se lo dici tu – butta lì allora Adelmo Farandola, a un borborigmo del ghiaccio.
Oppure: – Certo, come no – a uno schianto troppo lontano per essere davvero minaccioso.
Gli sgocciolii che di giorno sembrano annunciare la primavera lo fanno ridere e un po’ lo esasperano. – Allora, la finiamo o no? – scatta allora, con una stizza parodistica.
– Prego? – equivoca il cane.
– Non parlavo con te – dice Adelmo Farandola.
– Ah, no?
– No. Sciò, sciò! […]»
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